Mi capita talvolta di vedere sui
social network video o foto che ritraggono animali domestici, che imitano
atteggiamenti e comportamenti tipici di una persona: un gatto che succhia un
biberon tra le braccia amorevoli del suo “padrone” (termine che personalmente
non digerisco), un delizioso cagnolino che gioca col suo “padroncino” dietro lo
sguardo amorevole e compiaciuto della mamma, un altro gatto intento ad essere
nutrito da una donna che, ogni volta che lascia un boccone pronuncia la parola
“mamma” e l’animale risponde con un miagolio impostato sullo stesso tono, che
sembra quasi ripetere la parola “mamma”…..gli esempi in rete sono molti.
Mi sembra che ci sia da parte di
alcune persone, sempre più numerose, la tendenza ad “umanizzare” gli animali,
in particolare quelli che vivono insieme a loro. Questo fenomeno può essere più
o meno accettabile, a patto che non nasconda un egoismo di fondo, ed anche un
fallimento relazionale: gli animali non hanno senso critico, sono un po’ come
dei bambini, accettano senza discutere l’autorità dei “genitori” tutto quello
che viene da loro. Dal punto di vista di chi si prende cura di un animale, si
sperimenta quasi un senso di onnipotenza, si ha piena facoltà di decidere della
vita (nel senso di averne il pieno controllo) di un altro essere “inferiore”,
nascondendo così i propri personali fallimenti quotidiani nelle relazioni con
gli altri propri simili. In definitiva, con gli animali diventa impossibile
sbagliare! In questo contesto, non c’è una relazione sana tra persona ed animale.
Sarebbe opportuno ricordare
sempre che siamo tutti fallibili. La cosa importante non è quella di non fare
errori, ma ricordarsi sempre che siamo esseri fallibili, commettiamo errori in
continuazione, con noi stessi e con gli altri. E quando accade non dobbiamo
ricercare rifugio in rapporti “surrogati”, che ci danno una falsa sicurezza, ma
dobbiamo andare oltre noi stessi. Gli errori non sono affatto una “perdita di
tempo”, un segno del nostro fallimento. Sicuramente la società di oggi ha le
proprie responsabilità in questo, a cominciare dal mondo del lavoro: dobbiamo
essere “perfetti”, non sono ammessi errori, il tempo corre veloce e noi
“dobbiamo assolutamente” essere sempre pronti ad affrontare al meglio qualsiasi
difficoltà, perché gli altri sono “nemici” che stanno sempre li ad osservarci e
giudicarci. Oggi si è perso il vero senso della vita. Abbiamo creato un mondo
intono a noi che tiene in ostaggio tutte le nostre potenzialità di essere
umano, con i suoi pregi ed i suoi difetti. Non dobbiamo avere paura di mostrare
i nostri lati deboli, né verso gli altri, né verso noi stessi: guardiamo in
faccia la nostra vera natura, fatta di punti di forza ma anche di estreme
fragilità! Cerchiamo di coltivare le sane relazioni, quelle che ci fanno
crescere, quelle che ci fanno diventare persone migliori. E teniamo sempre
presente che sbagliare può sempre capitare, ma che c’è sempre un rimedio: il
perdono! Impariamo a perdonare, prima noi stessi. Infatti il mondo che vediamo
non è in realtà come sembra: siamo tutti come davanti uno specchio, uno
specchio “personalizzato”, dove ognuno di noi sceglie quello che vuole vedere, perdendo così altri
particolari importanti. Perdoniamo anche gli altri, specialmente quelli dai
quali abbiamo ricevuto del male. Questo non per una specie di “dovere morale”,
almeno per chi non è credente. Riflettendo bene su questo punto, facciamoci una
domanda: che cosa cambia di concreto se io perdono oppure non perdono chi mi ha
fatto del male? La risposta apparentemente è: niente! A prima vista scegliamo
questa risposta, perché siamo continuamente distratti da ciò che ci accade
intorno. Noi non ce ne rendiamo conto, ma il nostro cervello fa continuamente
un certo lavoro: gli stimoli (uditivi, visivi, eccetera) che riceve dall'esterno vengono elaborati, sia a livello razionale dalla corteccia
cerebrale, sia a livello emozionale, dalle parti profonde del cervello. Quello
che ne viene fuori è la nostra personale visione del mondo esterno, ma
l’errore che commettiamo sempre è dare per scontato che la nostra visione
corrisponda alla realtà. Quando noi perdoniamo, accade qualcosa di
straordinario, qualcosa sta per cambiare: siamo noi stessi, il nostro modo di vedere il
mondo! Quindi il perdono è prima di tutto rivolto verso di noi, ci cambia
profondamente dentro: “per-dono”! E’ un regalo che dobbiamo a noi stessi.
Riprendiamo quindi le redini
della nostra vita, in particolare di quella parte che riguarda le relazioni,
quelle buone, che possano diventare un’occasione di scambio e di arricchimento
reciproco, quelle nelle quali ci si riconosce reciprocamente come esseri umani,
col nostro bagaglio personale di buone qualità ed intenzioni, ma anche di
limiti ed incertezze.
Problemi di relazione con gli altri possono trovare surrogati, sicuramente negli animali, ma anche attraverso romanzi e telenovela. Sarebbe bene prestare attenzione a quando quel che facciamo diventa un'evasione dalle difficoltà quotidiane e sociali. E' meglio affrontare la situazione in modo diretto e trovare una soluzione.
RispondiEliminaAd ogni modo, se l'animale sta bene ed è accudito, chi si prende cura di lui ha relativa importanza se si considera "padrone" o "genitore" o altro, anche se certo è interessante osservare queste proiezioni o ruoli assunti. Più grave credo sia quando l'animale diventa "un giocattolo" o oggetto di sfogo (basti pensare a certi maltrattamenti di cui ogni tanto si ha notizia).