lunedì 18 agosto 2014

OMOSESSUALITA’ E DINTORNI: DUE TESI A CONFRONTO (Mauro Fornaro e Vittorio Lingiardi)

OMOSESSUALITA’ E DINTORNI: DUE TESI A CONFRONTO (prefazione di Stefano Cifelli)


Dedico il presente articolo alla trattazione di un argomento di rilevante importanza sociale, soprattutto per le conseguenze sociali dell’accettazione del “diverso”, e le conseguenze individuali di sentirsi accettato.
Rilevo fin da subito che non sono d’accordo con le teorie di matrice psicoanalitica che, pur affermando che l’omosessualità non può considerarsi psicologicamente una malattia, definiscono l’omosessuale come una persona che ha avuto uno sviluppo psicosessuale “incompleto”, e quindi ricerca relazioni sessuali “immature”. Aggiungo inoltre che, secondo una teoria bio-evoluzionista, l’omosessualità esisterebbe in natura in quanto avrebbe una precisa funzione di “difesa naturale” della specie: quella di contenere il numero della popolazione, al fine di evitare i rischi di un sovraffollamento del pianeta.
Ora espongo qui di seguito due dissertazioni, di opinioni opposte, rispettivamente a cura di Mauro Fornaro e Vittorio Lingiardi.





COPPIE OMOSESSUALI E COPPIE ETEROSESSUALI
(Mauro Fornaro)


PARI DIGNITA’ SI, MA PARI VALORE?

La tesi dell'omosessualità come me­ra "variante normale della sessuali­tà umana", sulla quale s'è accesa una viva discussione anche per la que­stione del trattamento sul piano giuridi­co delle coppie gay (Lingiardi, 2012), mi pare impugnabile nella misura in cui comporti una equiparazione in ogni senso tra la coppia omosessuale e quel­la eterosessuale.
È certo merito della tradizione psico­analitica aver evidenziato, in contrasto con la tesi dominante nei manuali di psi­chiatria fino alla metà del '900, che l'o­mosessualità non è una patologia; inol­tre, l'acquisizione psichica dell'identità sessuale e dell'orientamento sessuale non sono un dato scontato alla nasci­ta, bensì il risultato di un processo che avviene nell'intreccio tra fattori biologi­ci e fattori psicologico-ambientali, pertanto l'orientamento omosessuale è una virtualità nello sviluppo di ogni indivi­duo. La cura psicoanalitica o psicotera­pica non deve mirare, di conseguenza, a correggere l'orientamento omosessuale, bensì deve mirare a cogliere e ad appog­giare in una prospettiva dinamica, cioè di maturazione psichica e di crescita re­lazionale, l'effettivo desiderio di fondo del soggetto, aiutandolo a superare re­sistenze e ostacoli che si frappongono alla realizzazione di tale desiderio. Sono gli stessi ostacoli che, di solito, hanno generato quel disagio psichico e sociale che ha portato il soggetto a ricorrere al terapeuta. L'obiettivo della cura insom­ma è che il soggetto diventi egosintonico e responsabile di fronte al suo effettivo desiderio (il che per altro vale per ogni itinerario terapeutico, al di là della que­stione dell'omosessualità).



L'INTEGRAZIONE AFFETTIVO-CORPOREA

Tuttavia, nella stessa tradizione psicoanalitica l'omosessualità è per lo più ritenuta una forma di relazione immatura, risultando da uno sviluppo incompleto: se tutti più o me­no passiamo, nel corso dell'infanzia pri­ma, e nella pubertà poi, per momen­ti di incerto orientamento sessuale, la grande maggioranza acquisisce durante l'adolescenza una definitiva identità e orientamento sessuali, coerenti con il proprio sesso biologico (quindi in senso statistico la variante omosessuale non è la norma, mentre è "normale" nel senso di "non patologico"). L'identità e l'orientamento sessuali così acquisi­ti, facendo sperimentare al soggetto la propria incompiutezza di essere ormai separato dall'altro sesso, lo portano a desiderare l'integrazione affettiva con il complementare somato-psichico, cioè la persona dell'altro sesso quale "parte" a sé mancante, e non già l'integrazione con il mero identico a sé (identico sul piano del sesso biologico, ma spesso pure sul piano psicologico, se preval­gono le componenti narcisistiche, rile­vabili specie nella coppia omosessuale, per cui nell'altro si ama il simile a sé). Da ciò consegue che, pur con il ri­spetto dovuto alla duratura integrazione affettiva che può realizzarsi in coppie omosessuali - e dunque ferma restan­do la dignità che ad esse va riconosciu­ta - non è corretto ritenere che in es­se si sviluppi la medesima completezza relazionale di una coppia eterosessuale "riuscita". In questa, infatti, ceteris paribus, l'integrazione affettivo-corporea è più completa, in quanto avviene tra soggetti effettivamente diversi e com­plementari. Nella coppia omosessua­le, invece, manca l'integrazione come complementarità delle diversità corpo­ree e come complementarità di ciò che delle diversità anatomo-fisiologiche si riflette nella psiche. Inoltre, obiettiva­mente manca nella coppia omosessuale in quanto tale l'apertura alla generati-vita biologica, la quale di certo non è tutto, specie laddove difetti la genitorialità psicologica, ma essa ha comunque la sua importanza (del resto la coppia omosessuale cui fosse consentita l'ado­zione di minori non può non avvalersi di coppie eterosessuali, oppure deve ser­virsi di surrogati quali la fecondazione eterologa di un membro della coppia, se lesbica, o di una donna estranea al­la coppia, se gay). Pertanto restando nell'orno alla coppia manca, oltre alla fecondità biologica di coppia, l'apertu­ra radicale, che è quella all'etera, data dall'incontro con l'altro sesso e le sue peculiari qualità biologiche e psichiche.
LE DIFFERENZE DI GENERE
Si potrà discutere su quanto le differenze anatomo-fisiologiche si riflettano sulle differenze psi­cologiche e comportamentali tra i due sessi, e quanto invece queste ultime si­ano solo il risultato di cultura ed edu­cazione. Sta di fatto che le differenze, almeno fino al giorno d'oggi, sono evi­denti, in ordine sia all'identità psico­sessuale, sia all'identità di genere. Dif­ferenze che maturano già nel rapporto madre bambino/a: un rapporto asimme­trico rispetto ai sessi, nella misura in cui la madre, vedendo nella bimba una persona identica a sé, tende di solito a favorire l'attitudine allo scambio e al­le relazioni intime, nel bimbo, invece, vedendo un diverso che ha da differen­ziarsi da sé, tende a favorire l'attitudi­ne alla separazione e all'indipendenza (Chodorow, 1978).
In ogni caso, quand'anche si negas­se l'esistenza di un'essenza del femmi­nile e un'essenza del maschile (anco­ra Jung si esprimeva in tal senso con le nozioni rispettivamente di "anima" e di "animus", ma oggi prevale l'orien­tamento contrario), si rilevano però una serie di tratti e attitudini presenti più di frequente nel genere femminile e altri più frequenti nel genere maschile; tratti che dunque sono da ritenersi rispettiva­mente tipici di ciascun sesso. Il che non toglie che una donna possa avere talu­ni tratti psico-comportamentali ritenuti tipicamente maschili (spesso acquisiti per identificazione con aspetti della fi­gura paterna), e viceversa per un uomo, senza che per ciò sia pregiudicata la so­stanziale coerenza con il proprio sesso biologico in fatto di identità e di orien­tamento sessuali.
Nei singoli membri di una coppia omosessuale spesso si rileva una combi­nazione di tratti, di sensibilità maschili e femminili, senza che vi sia una netta o stabile prevalenza di un tipo di trat­ti rispetto all'altro, con il risultato che nel rapporto affettivo e sessuale tra i due può realizzarsi una certa complementarità di tratti eterogenei, a ruoli anche in­vertibili; il che comunque accade in una situazione di incoerenza con l'identità somatico-sessuale dei singoli (sovente uno dei due momentaneamente o con­tinuativamente "fa la parte" dell'altro sesso). E la coerenza è preferibile all'in-coerenza, per altro spesso fonte di con­flitti intrapsichici prima ancora che so­ciali. (Certo la preferenza per la coerenza è un giudizio di valore, mentre l'anali­si obiettiva si limita a rilevarne o meno la presenza). Altre volte, tra le variegate dinamiche affettive dell'omosessualità, prevale decisamente un'integrazione fra tratti di genere omogenei, come accade esemplarmente in quelle coppie lesbi­che il cui "gioco" è come tra madre e figlia: una complementarità pure questa, se si vuole, ma con evidenti aspetti di immaturità e di assenza del simbolo ma­schile, almeno a livello conscio.



COMPLEMENTARITÀ’ COME INTEGRAZIONE

Del resto non pochi di quei tratti prevalenti in un genere piuttosto che nell'altro sono riconducibili alla nostra storia filogenetica. Si pensi alla maggiore attitudine femminile, in media, aH'immedesimazione empatica nel piccolo e nel sofferente, alla mag­giore abilità nelle operazioni manua­li fini, ecc., alla maggiore intelligenza verbale; viceversa, alla maggiore atti­tudine maschile, in media, all'orien­tamento spaziale, alle abilità motorie, all'intelligenza logico-formale (Rumiati, 2010): in lunghe centinaia di migliaia di anni, nel corso delle quali le femmi­ne occupavano il breve arco di vita in un susseguirsi di gravidanze e i maschi nella caccia-pesca e nella guerra, si so­no selezionate nei due sessi le attitudini più favorevoli ai diversi ruoli. Anche le disposizioni filogenetiche possono mu­tare, ma non nei tempi brevi. Se ricordo questi fatti non è certamen­te per relegare il singolo a predefiniti ruoli affettivi e sociali su una base biolo­gica e filogenetica, sorda alla varietà di tratti orno- ed eterosessuali presenti in ciascuno, indifferente inoltre agli svilup­pi culturali e di sensibilità cui abbiamo assistito nella storia dell'umanità; è in­vece per attestare ulteriormente la real­tà delle differenze psichico-attitudinali tra i due generi, correlate alle differenti strutture anatomo-fisiologiche e ai diffe­renti ruoli nella riproduzione. E quanto più significative sono le differenze, tan­to più è giustificata l'integrazione come complementarità: insisterei sul pregio della complementarietà bio-psichica a tutto campo delle differenze, in quanto, ripeto, essa porta a una forma di inte­grazione possibile tra due esseri umani di sesso diverso, che si presenta - obiet­tivamente parlando - più promettente, cioè dotata di più potenzialità a parità di altre condizioni, che non l'integrazione tra due esseri dello stesso sesso.
Quest'altra forma affettiva - sogget­tivamente parlando - è pur sempre un bene per i singoli implicati e dunque un valore da salvaguardare anche sul piano sociale e giuridico, ma oggettivamente non si può dire che sia il meglio, con tutto il rispetto per chi sente di non po­ter realizzare la propria integrazione af­fettiva se non con l'orno. (Certo si può impugnare l'idea che esistano valori og-gettivi al di là delle preferenze sogget­tive, ma così si entra in una questione trattabile in sede diversa da quella della psicologia).

IPERCULTURALISMO
 A monte della discutibile equipa­razione psicologica e valoriale del rapporto orno con quello ete-rosessuale è spesso rilevabile l'erro­re ideologico di ritenere mero effetto dell'educazione e della cultura le dif­ferenze psico-comportamentali tra in­dividui di sesso diverso: l'identità di genere non sarebbe che un carattere acquisito, un'imitazione di cui manca l'originale. Pertanto ai fini della deter­minazione delle differenze tra i singoli individui sarebbe irrilevante l'oggettiva appartenenza biologica a un dato ses­so. È vero, al contrario, che la corpo­reità sessuata con i suoi dinamismi fi­siologici, bio-chimici e con le correlate sensazioni e fantasmatiche, seppur non determina rigidamente le attitudini psi­co-comportamentali, tuttavia le orienta: non solo "abbiamo" un corpo, che psi­che e cultura interpretano, plasmano e utilizzano, ma "siamo" anche un cor­po, il quale precede, condiziona e pure delimita l'attività psichica e simbolica, nella specie come nel singolo. Il difetto invece di una posizione "iper-culturalista", quale quella sopra accen­nata, mentre chiude unilateralmente la dialettica tra l'avere e l'essere un corpo a favore del mero averlo, finisce con il risu­scitare il dualismo tra l'ordine biologico-naturale e l'ordine psicologico-culturale. Il che accade nella misura in cui il primo è ritenuto indifferente alle determinazio­ni del secondo, o, peggio, nella misura in cui il secondo è ritenuto riassorbire in sé le stesse determinazioni somatiche: il corpo sessuato nelle relazioni socia­li non sarebbe che mero effetto di lin­guaggio, secondo la posizione estrema della Butler (2004). Curiosamente, per questa via che dissolve di fatto le nozioni di identità e differenza di genere, ridu­cendole a contingenti effetti di cultura e di linguaggio, da una parte è favorita l'identità cosiddetta "queer" (che rifiu­ta ogni idea di stabili identità e polarità maschile/femminile, omo/eterosessuale, comunque le si intenda). Dall'altra par te, come chiudendo un ciclo, si torna a prima dei fecondi genderstudies ("studi di genere", una conquista del pensiero femminile a partire dagli anni Settan­ta), riabilitando quell'indifferenza per le specificità di genere propria del passato, che poi di fatto significava uniformazio­ne monocratica al genere maschile.

Riferimenti bibliografici
Butler J. (2004), La disfatta del genere (trad. it), Meltemi, Roma, 2006.
Chodorow N. (1978), La funzione materna. Psicoanalisi e sociologia del ruolo ma-temo (trad. it.), La Tartaruga Edizioni, Milano, 1991.
Lingiardi V. (2012), Citizen gay. Affetti e diritti, II Saggiatore, Milano.
Rumati R. (2010), Donne e uomini, II Mu­lino, Bologna.
Mauro Fornaro, Ordinario di Psicologia dinamica presso l'Università di Chieti-Pescara, psicologo e psicoterapeuta di orientamento psicoanalitico, ha pubblicato oltre un centinaio tra volumi e articoli, principalmente su temi di storia ed epistemologia della psicologia e della psicoanalisi.




LA BILANCIA DELL’AMORE
(Vittorio Lingiardi)


Le coppie eterosessuali hanno lo stesso valore di quelle omosessua­li? Ma certo! - rispondo di getto. Dopo un secondo mi assale un dub­bio. Sulla domanda, non sulla risposta. Qualcuno si sta davvero chiedendo se ci sono persone, amori, relazioni che valgono meno di altre? Rispetto a cosa? Stiamo parlando di quotazioni in borsa? Non mi piacciono le graduatorie sul va­lore umano. Mi ricordano chi dice(va) che gli ebrei, i neri, le donne e, imman­cabili, gli omosessuali, valgono meno. Quando una cosa vale meno, si butta via più facilmente, si tratta con meno cura. In effetti, è sempre andata così. E proprio ora che forse va un po' meglio, qualcuno torna a mettere i puntini sul­le "i": «pari dignità, ma minor valore». Indegne e senza valore di cittadinanza erano le coppie interraziali nell'America degli anni '50, alle quali per legge era impedito di sposarsi. Indegne le perso­ne omosessuali nella Russia di Putin (e in Uganda, in Iran, ecc.: è lungo il triste elenco), ma anche contrarie «ai va­lori del nostro popolo» le leggi dell'Occi­dente che le incoraggiano e proteggono. Dunque prive di valore le parole di Barack Obama? «Ritengo che le coppie del­lo stesso sesso debbano potersi sposare. [...] Ero restio a usare il termine matri­monio perché evoca tradizioni molto forti e radicate. E pensavo che le leggi sulle unioni civili per conferire i diritti alle cop­pie gay e lesbiche potevano essere una soluzione. Ma nel corso degli anni ne ho parlato con amici e familiari. Ho pensato ai membri del mio staff che hanno rela­zioni di lunga durata con persone dello stesso sesso e che stanno crescendo dei bambini insieme. [...] Mi sono reso conto che, a causa dell'ineguaglianza nel diritto al matrimonio, le coppie del lo stesso ses­so che si amano non sono considerate, ai loro occhi e a quelli dei loro figli, cittadini a tutti gli effetti. [...] Credo che, davanti alla legge, tutti gli americani dovrebbero essere trattati allo stesso modo».

LA GENERATIVA COME FINE?

Una scala di valori richiede para­metri. Chi li stabilisce? Dal vo­cabolario online www.treccani.it/ vocabolario: «valére, dal latino valére, essere forte, sano; essere capace; signi­ficare: 1. a. Avere forza, potenza, auto­rità e prestigio. [...] b. Essere valoroso, capace. [...] e. Avere un alto livello di competenza, di capacità e abilità (nella propria professione, nel proprio mestie­re, o in altra determinato campo). [...] d. Avere forza ed efficacia legale o logica. [...] e. Essere valido, vero. [...] f. Avere efficacia in rapporto al raggiungimento di un fine. g. Nello sport e in vari gio­chi, avere effetto, contare per la vincita o la perdita, essere conforme alle regole [...] 2. a. Avere valore intrinseco, ave­re pregio. [...] b. Avere un determinato prezzo [...]» e così via. Rileggo le defi­nizioni senza trovarne una specifica per la coppia omosessuale. Forse una fa al caso nostro: «avere efficacia in rappor­to al raggiungimento di un fine». Non è questa la tesi di Mauro Fornaro? Se il fine è la riproduzione, la coppia etero ha più efficacia, e dunque vale più di quella orno. La coppia omosessuale sa­rebbe il luogo della mancanza, dove non si sviluppa «la medesima completezza relazionale di una coppia eterosessuale riuscita», «manca l'integrazione come complementarità delle diversità corpo­ree», «manca l'apertura alla generatività biologica». Questa della mancanza, del resto, è un'antica fissazione psicoa­nalitica. Anche alle donne era attribuita una mancanza anatomica che generava la ben nota invidia.
Azzardato il concetto-immagine di «complementarietà anatomica» e ancor più se impiegato come parametro per stabilire il valore di una coppia e la sua riuscita.  Affermazione priva di ri­scontri non solo nella ricerca scientifi­ca, ma anche nel buon senso. Basta es­sere «anatomicamente complementari» (traduco: eterosessuali) per essere cop­pie riuscite? Non sarebbe più calzante fare riferimento alla reciprocità affetti­va, alla capacità d'amare, di capire e rispondere ai bisogni del partner e, se vi sono figli, di crescerli e accudirli, fi­sicamente e psicologicamente? Inoltre: davvero la procreazione è un parame­tro che consente di stabilire il valore di una coppia? Dunque una coppia che ha messo al mondo dieci bimbi avrebbe più valore di una coppia che ne ha solo uno o, peggio, che non ne ha affatto. Limitare al concepimento il contributo di una coppia alla comunità mi sem­bra, nel migliore dei casi, un approccio naif che trascura la ricchezza, le poten­zialità e la bellezza dei molti modi in cui gli esseri umani possono incontrarsi.  E’ relegare l’esperienza umana alla mera biologia e a un evoluzionismo fine a sé stesso. A furia di denunciare l’ “iperculturalismo” si finisce per cadere nell’ “iperbiologismo”. E poi, se il fine di una coppia fos­se la riproduzione, la bilancia psico-filosofica di Fornaro sarebbe più precisa se soppesasse le differenze tra coppie sterili e coppie feconde, e non tra cop­pie orno e coppie etero. Fino a sostene­re che una coppia di genitori adottivi varrebbe meno di una coppia di geni­tori fecondi. È così? Le persone sterili o che scelgono di non avere figli valgo­no meno di quelle feconde e prolifiche? Goebbels aveva sei figli e Proust non si è riprodotto. Goebbels vale di più?




ESISTE UN GENITORE IDEALE?


Misurare il valore di una coppia a partire dalla generatività mi sembra tra l'altro un modo per sminuire lo stesso concetto di genitorialità. Non è anche l'inizio di una vita e, si spera, di un progetto? Una volta nato, il bambino dev'essere accudito, amato e cresciuto dai genitori che possono esse­re, ma possono anche non essere, quelli biologici. Anteporre l'importanza della generatività a quella della genitorialità mi sembra un modo di "declassare" non solo le coppie omosessuali, ma an­che quelle eterosessuali che scelgono l'adozione. Anni fa ho ritagliato una lettera spedi­ta a un giornale. La riporto brevemente. «lo non sono omosessuale... ma ahimè sono sterile biologicamente. Questo non impedisce a mia moglie e a me di con­siderarci coppia da più di dieci anni, e di considerarci a tutti gli effetti genitori della nostra splendida figlia adottiva. Al­tre migliaia di famiglie adottive si con­siderano coppie, genitori e famiglie pur senza aver avuto quello che dai pulpiti delle chiese che frequento viene defini­to "il bene della procreazione". Il mio timore è che questi inni alla famiglia co­me istituzione naturale portino a svalu­tare il significato degli affetti che legano famiglie come la nostra, che non si fon­dano sui vincoli di sangue, ma su legami di accoglienza reciproca resi più stabili grazie a un riconoscimento giuridico...».
Si può diventare genitori in molti mo­di. E se la sessualità non sempre coin­cide con la procreazione, non sempre il concepimento coincide con la genitorialità. E soprattutto la coppia genera­tiva eterosessuale non sempre coincide con la riuscita (che potrebbe coincide­re, piuttosto, con la bontà delle relazio­ni all'interno della famiglia). Qual è il "vero genitore"? Quello che mette a di­sposizione la propria biologia o quello che cresce il figlio fornendogli cure e sicurezza? Non sempre le due opzioni coincidono: ci sono genitori biologici in­capaci di fornire cure e sicurezza e ge­nitori non biologici (o coppie di genitori di cui uno solo è biologico) che ne sono capaci. D'altra parte, anche le persone gay e lesbiche possono essere genitori e, attraverso l'inseminazione artificiale (pratica a cui ricorrono anche molte cop­pie eterosessuali), possono generarli.
Purtroppo nell'opinione comune il te­ma della genitorialità omosessuale è di solito affidato a posizioni ideologiche o viscerali. Ma assumere posizioni prive di sostegno empirico finisce per essere dannoso per gli stessi bambini, implici­tamente guardati come "figli di un dio minore". Per ragioni di spazio non mi posso dilungare sulle moltissime ricer­che in tema di omogenitorialità, ma con­siglio la lettura dell'eccellente numero monografico curato da Anna Maria Spe­ranza per la rivista Infanzia e adolescen­za (2013).


NON SOLO UNA FAMIGLIA "TRADIZIONALE"

Se si accetta di non considerare unica e immodificabile la fami­glia "tradizionale" (che non si­gnifica né "storica" né "naturale") bi­sogna accettare l'esistenza delle sue diverse forme. Senza nulla togliere alla famiglia edipica "tradizionale", condi­vido quanto più volte affermato dall'A-merican Psychoanalytic Association (2002/2012) secondo cui I'«interesse del bambino è sviluppare un attacca­mento verso genitori coinvolti, compe­tenti e capaci di cure [...]», inoltre «la valutazione di queste qualità genitoriali dovrebbe essere determinata senza pre­giudizi rispetto ali'orientamento sessua­le». Lo stesso affermano altre importanti associazioni scientifiche e professionali, dall'American Association of Pediatrics all'Associazione Italiana di Psicologia: «adulti coscienziosi e capaci di fornire cure, siano essi uomini o donne, etero o omosessuali possono essere ottimi genitori» (Pawelski et al., 2006). Per essere buoni genitori non basta essere eterosessuali, così come essere omo­sessuali non significa essere cattivi ge­nitori. «Ben vengano - scrive Antonino Ferro (2013), presidente della Società Psicoanalitica Italiana (SRI) - bambini di coppie che si amano e che siano ca­paci di buoni accoppiamenti mentali. Non sarà il sesso biologico dell'uno o dell'altro ad aver più peso ma le attitu­dini mentali dell'uno e dell'altro. I figli li faccia chi ha voglia di accudirli con amore». Un figlio può essere concepito senza essere pensato, cercato a tutti i costi, o arrivare grazie ad una delle tante possibilità comprese tra questi due estremi. Ogni concepimento, nascita, adozione ha una sua storia da raccontare, più o meno consapevole, più o meno fortuna­ta. È vero che la pianificazione accurata di una maternità o di una paternità può rivelare «un desiderio narcisistico, l'a­spirazione a una completezza autarchi­ca che trasforma il figlio in un comple­mento di sé» come giustamente osserva lo psicoanalista Thanopulos (2006). Ma ben sappiamo che la ricerca narcisistica del figlio, e la negazione della sua alterità, può riguardare ogni genitore, come tante volte rileviamo nel lavoro clinico con famiglie "normali".




L'INTEGRAZIONE DELLE DIFFERENZE


Fornaro è molto preoccupato dal­la specularità narcisistica fisica e psichica dei componenti la cop­pia omosessuale. Questa sarebbe la ba­se della sua inferiorità. Kohut (1987), grande studioso del narcisismo, ci ricor­da che esistono relazioni eterosessua-i fortemente narcisistiche e relazioni omosessuali mature in cui il partner è riconosciuto e amato come soggetto se­parato e autonomo. E poiché cita Cho-dorow, consiglierei la lettura di Fem­minile, maschile, sessuale: Sigmund Freud e oltre (1994). Molti sono i modi in cui i partner di una coppia possono arricchirsi reciprocamente e arricchire chi sta loro intorno. Se un valore è l'in­tegrazione delle differenze, credo che ribadire ruoli rigidi e prestabiliti, spes­so figli di stereotipi crudeli ancorati al pregiudizio e all'"anatomia come desti­no", non renda giustizia alle tante potenzialità della coppia e della relazione amorosa. È alquanto riduttivo appiattire le differenze psichiche individuali alle differenze anatomiche e/o ai ruoli di ge­nere. Fornaro pensa che le dinamiche delle coppie omosessuali siano molto diverse da quelle delle coppie eteroses-suali. Non è così, e tante ricerche lo dimostrano. La maturità e il livello di differenziazione di una relazione amo­rosa dipendono sostanzialmente dalle caratteristiche di personalità dei part­ner, non dal loro orientamento sessuale. La varietà di "giochi", come li chiama Fornaro, che possono verificarsi in una coppia sono infiniti e, in un continuum relazionale che va dal normale al pato­logico, riguardano etera e omosessuali. Attenzione a trattare maschile/femmini­le, razionale/irrazionale, attivo/passivo, culturale/naturale, ecc. come categorie in opposizione. La schematizzazione bi­naria finisce per produrre le sue deri­ve: attivo è meglio di passivo, maschio è meglio di femmina, alto è meglio di basso, bianco è meglio di nero, etero è meglio di orno, ecc.


I PREGIUDIZI DELLA PSICO-ANALISI

Se si vuole parlare scientificamen­te di omosessualità, il primo pas­so da compiere è quello di mette­re da parte i pregiudizi che sono cattivi consiglieri. La stessa psicoanalisi ne è stata vittima per decenni. Non è vero, infatti, come afferma Fornaro, che «è certo merito della tradizione psicoana­litica aver evidenziato [...] che l'omo­sessualità non è una patologia». Poco dopo si contraddice: «nella stessa tra­dizione psicoanalitica l'omosessuali­tà è per lo più ritenuta una forma di relazione immatura, risultando da uno sviluppo incompleto». Si decida-, se l'o­mosessualità non è una patologia, non si vede perché le relazioni tra persone omosessuali dovrebbero essere patologiche. Se invece l'omosessualità è una patologia, lo dica apertamente. Del re­sto, in passato, oggi sempre meno, mol­ti psicoanalisti l’hanno considerata tale, e proprio sostenendo affermazioni come quelle avanzate da Fornaro, quando, ri­svegliando vecchie teorie, descrive la persona omosessuale con queste pa­role: «identico sul piano del sesso bio­logico, ma spesso pure sul piano psi­cologico, se prevalgono le componenti narcisistiche, rilevabili specie nella coppia omosessuale, per cui nell'altro si ama il simile a sé». Incoerenza tra orientamento sessuale e appartenen­za di genere e personalità narcisistica sono purtroppo i vetusti pregiudizi psi­coanalitici di Rado, Bieber, Ovesey e Socarides che, esasperando la lettura freudiana dell'omosessualità come con­dizione difensiva e arresto/inibizione dello sviluppo psicosessuale, fornisco­no le basi teoriche per le terapie riparative (per approfondimenti: Lingiardi e Luci, 2006; Lingiardi e Nardelli, 2014; Pigliano, Cilibertoe Ferrari, 2012).
Kernberg (2002) ci ricorda che «lo studio dell'omosessualità è un classi­co esempio dell'impatto deleterio che l'ideologia ha avuto sulla ricerca acca­demica». Attualmente, non solo la psi­coanalisi, ma tutte le discipline che hanno a che fare con la salute mentale considerano gli omosessuali al pari de­gli eterosessuali: gli uni come gli altri possono essere sani o affetti da nevro-si, psicosi o altre psicopatologie. Idem per la coppia: esistono relazioni mature tanto nelle coppie eterosessuali quanto in quelle omosessuali, e relazioni più o meno patologiche tanto nelle prime quanto nella seconde. Non sempre l'o-mofobiasi manifesta in modo esplicito. In modo più sottile, a volte si veste da "eterofilla". La quale riconosce dignità alle persone omosessuali, ma continua a pensare che l'eterosessualità sia mi­gliore dell'omosessualità. Come osser­va la filosofa Martha Nussbaum (2010), spesso il disgusto annienta l'umanità.


Riferimenti bibliografici

American Psychoanalttic Association (APA, 2002/2012), «Position Statement on Pa-renting», www.apsa.org/About_APsaA/ Position_Statements/Parenting.aspx.
Chodorown.J. (1994), Femminile maschile sessuale. Sigmund Freud e oltre (trad. it.), La Tartaruga, Milano, 1995.
Ferro A. (2013), «Nel Presepe moderno an­che le coppie gay», Corriere della Sera, 6 gennaio, p. 33.
Kernberg 0. F. (2002). «Unresolved issues in thè psychoanalytic theory of homo-sexuality and bisexuality», Journal of Lesbian and Gay Psychotherapy, 6 (li, 9-27.
KOHUT(1987), Seminar/frati, it.), Astrola­bio, Roma, 1989.
LlNGlARDiV. (2007/2012), Citizen gay. Affetti e diritti (ed. aggiornata con N. Nardelli), il Saggiatore, Milano.
Lingiardi V., Luci M. (2006), «L'omosessualità in psicoanalisi». In P. Riglìano, M. Graglia (a cura di), Gay e lesbiche in psicotera­pia, Raffaello Cortina, Milano, pp. 1-72.
Lingiardi V., Nardelli N. (2014). Linee guida per la consulenza psicologica e la psico­terapia con persone lesbiche, gay e bi­sessuali, Raffaello Cortina, Milano.
Nussbaum M. C. (2010), Disgusto e um nità. L'orientamento sessuale di fronte alla legge (trad. it.), il Saggiatore, Mi­lano, 2011.
Pawelski 1. G., Perrin E. C., Foy J. M. et al. (2006), «The effects of marriage, civil union, and domestic partnership laws on thè health and well-being of children», Pediatrics, 118 (1>, 349-364.
Rriglìano P, Cìliberto J., Ferrari F. (2012), Curare i gay? Oltre l'ideologia riparati-va dell'omosessualità, Raffaello Corti­na, Milano.
Speranza A. M. (a cura di, 2013), «Omogeni-torialità», Infanzia e adolescenza, 12(2).
Thanopulos S., Pozzi 0. (a cura di, 2006), Ipotesi gay. Materiali per un confronto, Boria, Roma.

Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, è Professore ordinario di Psicologia dinamica alla Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza Università dì Roma, dove dal 2006 al 2013 ha diretto la Scuola di specializza­zione in Psicologia cllnica. Tra le sue pubbli­cazioni più recenti ricordiamo? La valutazione della personalità con la SWAP-200 (con J. Shedler e D.Westen; Cortina 2013).

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