OMOSESSUALITA’ E DINTORNI: DUE TESI A CONFRONTO (prefazione di Stefano Cifelli)
Dedico il presente articolo alla
trattazione di un argomento di rilevante importanza sociale, soprattutto per le
conseguenze sociali dell’accettazione del “diverso”, e le conseguenze
individuali di sentirsi accettato.
Rilevo fin da subito che non sono
d’accordo con le teorie di matrice psicoanalitica che, pur affermando che l’omosessualità
non può considerarsi psicologicamente una malattia, definiscono l’omosessuale
come una persona che ha avuto uno sviluppo psicosessuale “incompleto”, e quindi
ricerca relazioni sessuali “immature”. Aggiungo inoltre che, secondo una teoria
bio-evoluzionista, l’omosessualità esisterebbe in natura in quanto avrebbe una
precisa funzione di “difesa naturale” della specie: quella di contenere il
numero della popolazione, al fine di evitare i rischi di un sovraffollamento
del pianeta.
Ora espongo qui di seguito due
dissertazioni, di opinioni opposte, rispettivamente a cura di Mauro Fornaro e Vittorio
Lingiardi.
COPPIE OMOSESSUALI E COPPIE ETEROSESSUALI
(Mauro Fornaro)
PARI DIGNITA’ SI, MA PARI VALORE?
La tesi dell'omosessualità come mera "variante
normale della sessualità umana", sulla quale s'è accesa una viva discussione
anche per la questione del trattamento sul piano giuridico delle coppie gay (Lingiardi, 2012), mi pare impugnabile
nella misura in cui comporti una equiparazione in ogni senso tra la coppia omosessuale e quella
eterosessuale.
È certo merito della
tradizione psicoanalitica
aver evidenziato, in contrasto con la tesi
dominante nei manuali di psichiatria fino alla metà del '900, che l'omosessualità non è una patologia; inoltre, l'acquisizione psichica dell'identità sessuale
e dell'orientamento sessuale non sono un
dato scontato alla nascita, bensì il risultato di un processo che
avviene nell'intreccio tra fattori biologici
e fattori psicologico-ambientali, pertanto
l'orientamento omosessuale è una virtualità nello sviluppo di ogni individuo. La cura psicoanalitica o psicoterapica non deve mirare, di conseguenza, a correggere l'orientamento omosessuale, bensì deve mirare a cogliere e ad appoggiare in una prospettiva dinamica, cioè di maturazione psichica e di crescita relazionale, l'effettivo desiderio di fondo del soggetto, aiutandolo a superare resistenze e ostacoli che si
frappongono alla realizzazione di
tale desiderio. Sono gli stessi
ostacoli che, di solito, hanno generato
quel disagio psichico e sociale che
ha portato il soggetto a ricorrere al terapeuta. L'obiettivo della cura insomma è che il soggetto diventi egosintonico e responsabile di fronte al suo effettivo desiderio
(il che per altro vale per ogni itinerario
terapeutico, al di là della questione dell'omosessualità).
L'INTEGRAZIONE AFFETTIVO-CORPOREA
Tuttavia, nella stessa tradizione
psicoanalitica l'omosessualità è per lo più ritenuta una forma di relazione immatura,
risultando da uno sviluppo incompleto: se tutti più o meno passiamo, nel
corso dell'infanzia prima, e nella pubertà poi, per momenti di incerto
orientamento sessuale, la grande maggioranza acquisisce durante l'adolescenza una
definitiva identità e orientamento sessuali, coerenti con il proprio sesso
biologico (quindi in senso statistico la variante omosessuale non è la norma, mentre è
"normale" nel senso
di "non patologico"). L'identità e
l'orientamento sessuali così acquisiti,
facendo sperimentare al soggetto la propria incompiutezza di essere ormai separato dall'altro sesso, lo portano a desiderare l'integrazione affettiva con il complementare somato-psichico, cioè la persona
dell'altro sesso quale "parte" a sé mancante, e non già
l'integrazione con il mero identico a
sé (identico sul piano del sesso
biologico, ma spesso pure sul piano
psicologico, se prevalgono le
componenti narcisistiche, rilevabili
specie nella coppia omosessuale, per
cui nell'altro si ama il simile a sé). Da
ciò consegue che, pur con il rispetto
dovuto alla duratura integrazione affettiva
che può realizzarsi in coppie omosessuali
- e dunque ferma restando la
dignità che ad esse va riconosciuta
- non è corretto ritenere che in esse
si sviluppi la medesima completezza relazionale
di una coppia eterosessuale "riuscita".
In questa, infatti, ceteris paribus, l'integrazione affettivo-corporea è più completa, in quanto avviene tra soggetti
effettivamente diversi e complementari. Nella coppia omosessuale, invece, manca
l'integrazione come complementarità delle diversità corporee e come
complementarità di ciò che delle diversità anatomo-fisiologiche si riflette nella
psiche. Inoltre, obiettivamente manca nella coppia omosessuale in quanto tale l'apertura alla
generati-vita
biologica, la quale di certo non è tutto, specie laddove difetti la genitorialità psicologica, ma
essa ha comunque la sua importanza (del resto la coppia omosessuale cui fosse consentita l'adozione di minori non
può non avvalersi di coppie eterosessuali, oppure deve servirsi di surrogati
quali la fecondazione eterologa di un membro della coppia, se lesbica, o di una
donna estranea alla coppia, se gay). Pertanto restando nell'orno alla coppia manca, oltre alla
fecondità
biologica di coppia, l'apertura radicale, che è quella all'etera, data dall'incontro con
l'altro sesso e le sue peculiari qualità biologiche e psichiche.
LE DIFFERENZE DI
GENERE
Si potrà discutere su quanto le differenze anatomo-fisiologiche si riflettano sulle differenze psicologiche e comportamentali tra i due sessi, e quanto invece queste ultime siano solo il risultato di cultura ed educazione. Sta di fatto che le differenze, almeno
fino al giorno d'oggi, sono evidenti, in ordine sia all'identità psicosessuale, sia all'identità di genere. Differenze che maturano già nel rapporto madre bambino/a: un rapporto asimmetrico rispetto ai sessi, nella misura in cui la madre, vedendo nella bimba una persona identica a sé, tende di solito a favorire l'attitudine allo scambio e alle relazioni intime, nel bimbo, invece, vedendo un diverso che ha da differenziarsi da sé, tende a favorire l'attitudine alla separazione e all'indipendenza (Chodorow,
1978).
In ogni caso,
quand'anche si negasse l'esistenza di un'essenza del femminile e un'essenza del
maschile (ancora Jung si esprimeva in tal senso con le nozioni rispettivamente di
"anima" e di "animus", ma oggi prevale l'orientamento contrario), si
rilevano però una serie di tratti e attitudini presenti più di frequente nel genere
femminile e altri più frequenti nel genere maschile; tratti che dunque sono da
ritenersi rispettivamente tipici di ciascun sesso. Il che non toglie che una donna
possa avere taluni tratti psico-comportamentali ritenuti tipicamente maschili (spesso acquisiti
per identificazione con aspetti della figura paterna), e viceversa per un uomo, senza
che per ciò sia pregiudicata la sostanziale coerenza con il proprio sesso biologico in fatto di
identità e di orientamento sessuali.
Nei singoli membri di
una coppia omosessuale
spesso si rileva una combinazione di tratti, di sensibilità maschili e femminili, senza che vi sia una netta o stabile prevalenza di un tipo di tratti
rispetto all'altro, con il risultato che nel rapporto affettivo e sessuale tra i due può realizzarsi una certa complementarità di tratti eterogenei, a ruoli anche invertibili;
il che comunque accade in una situazione
di incoerenza con l'identità somatico-sessuale
dei singoli (sovente uno dei due
momentaneamente o continuativamente
"fa la parte" dell'altro sesso).
E la coerenza è preferibile all'in-coerenza,
per altro spesso fonte di conflitti
intrapsichici prima ancora che sociali.
(Certo la preferenza per la coerenza è
un giudizio di valore, mentre l'analisi obiettiva si limita a rilevarne
o meno la presenza). Altre volte, tra le
variegate dinamiche affettive dell'omosessualità, prevale decisamente un'integrazione fra tratti di
genere omogenei, come accade esemplarmente in quelle coppie lesbiche il cui "gioco" è come tra madre e figlia: una complementarità pure questa, se si vuole, ma con evidenti aspetti di immaturità e di assenza del simbolo maschile, almeno a livello conscio.
COMPLEMENTARITÀ’ COME INTEGRAZIONE
Del resto non pochi di quei tratti prevalenti in un
genere piuttosto che
nell'altro sono riconducibili alla nostra
storia filogenetica. Si pensi alla
maggiore attitudine femminile, in media,
aH'immedesimazione empatica nel
piccolo e nel sofferente, alla maggiore
abilità nelle operazioni manuali fini,
ecc., alla maggiore intelligenza verbale; viceversa, alla maggiore
attitudine maschile, in media,
all'orientamento spaziale, alle
abilità motorie, all'intelligenza
logico-formale (Rumiati, 2010): in
lunghe centinaia di migliaia di
anni, nel corso delle quali le femmine occupavano il breve arco di vita in un susseguirsi di gravidanze e i maschi nella
caccia-pesca e nella guerra, si sono selezionate nei due sessi le attitudini più favorevoli ai diversi ruoli. Anche le disposizioni filogenetiche possono mutare, ma non nei tempi brevi. Se ricordo questi fatti non è
certamente
per relegare il singolo a predefiniti ruoli affettivi e sociali su una base
biologica
e filogenetica, sorda alla varietà di tratti orno- ed eterosessuali presenti in ciascuno, indifferente
inoltre agli sviluppi culturali e di sensibilità cui abbiamo assistito nella
storia dell'umanità; è invece per attestare ulteriormente la realtà delle differenze
psichico-attitudinali tra i due generi, correlate alle differenti strutture anatomo-fisiologiche
e ai differenti ruoli nella riproduzione. E quanto più significative sono le
differenze, tanto più è giustificata l'integrazione come complementarità:
insisterei sul pregio della complementarietà bio-psichica a tutto campo delle
differenze, in quanto, ripeto, essa porta a una forma di integrazione possibile
tra due esseri umani di sesso diverso, che si presenta - obiettivamente parlando -
più promettente, cioè dotata di più potenzialità a parità di altre condizioni, che
non l'integrazione tra due esseri dello stesso sesso.
Quest'altra forma
affettiva - soggettivamente parlando - è pur sempre un bene per i singoli implicati e dunque
un valore
da salvaguardare anche sul piano sociale e giuridico, ma oggettivamente non si può dire che sia
il meglio, con tutto il rispetto per chi sente di non poter realizzare la
propria integrazione affettiva se non con l'orno. (Certo si può impugnare l'idea che
esistano valori og-gettivi al di là delle preferenze soggettive, ma così si entra in una questione
trattabile
in sede diversa da quella della psicologia).
IPERCULTURALISMO
A monte della discutibile equiparazione psicologica e valoriale del rapporto orno con quello ete-rosessuale è spesso rilevabile l'errore ideologico di ritenere mero
effetto dell'educazione e della cultura le differenze psico-comportamentali tra individui di sesso diverso: l'identità di genere non sarebbe che un carattere acquisito, un'imitazione di cui manca l'originale. Pertanto ai fini della determinazione delle differenze tra i singoli individui sarebbe irrilevante l'oggettiva appartenenza biologica a un dato sesso. È vero, al contrario, che la corporeità sessuata con i suoi dinamismi fisiologici, bio-chimici e con le correlate sensazioni e fantasmatiche, seppur non determina rigidamente le attitudini psico-comportamentali, tuttavia le orienta: non solo "abbiamo" un corpo, che psiche
e cultura interpretano, plasmano e utilizzano,
ma "siamo" anche un corpo,
il quale precede, condiziona e pure delimita l'attività psichica e simbolica, nella specie come nel
singolo. Il difetto invece di una posizione
"iper-culturalista",
quale quella sopra accennata,
mentre chiude unilateralmente la dialettica
tra l'avere e l'essere un corpo a favore del mero averlo, finisce con il risuscitare il dualismo tra l'ordine biologico-naturale e l'ordine psicologico-culturale. Il che
accade nella misura in cui il primo è
ritenuto indifferente alle determinazioni del secondo, o, peggio, nella misura in cui il secondo è ritenuto riassorbire in sé le stesse determinazioni somatiche: il
corpo sessuato nelle relazioni sociali non
sarebbe che mero effetto di linguaggio,
secondo la posizione estrema della Butler (2004). Curiosamente, per questa via che dissolve di fatto le nozioni di
identità e differenza di genere, riducendole
a contingenti effetti di cultura e di
linguaggio, da una parte è favorita l'identità
cosiddetta "queer" (che rifiuta ogni idea di stabili identità e polarità maschile/femminile, omo/eterosessuale, comunque
le si intenda). Dall'altra par te, come chiudendo un ciclo, si torna a prima dei fecondi genderstudies
("studi di genere", una conquista del pensiero femminile a partire
dagli anni Settanta),
riabilitando quell'indifferenza per le specificità
di genere propria del passato, che
poi di fatto significava uniformazione
monocratica al genere maschile.
Riferimenti bibliografici
Butler J. (2004), La disfatta del genere
(trad. it), Meltemi, Roma, 2006.
Chodorow N. (1978), La funzione materna.
Psicoanalisi e sociologia del ruolo ma-temo (trad. it.), La Tartaruga Edizioni,
Milano, 1991.
Lingiardi V. (2012), Citizen gay. Affetti e
diritti, II Saggiatore, Milano.
Rumati R. (2010), Donne e uomini, II Mulino,
Bologna.
Mauro Fornaro, Ordinario di Psicologia
dinamica presso l'Università di Chieti-Pescara, psicologo e psicoterapeuta di
orientamento psicoanalitico, ha pubblicato oltre un centinaio tra volumi e
articoli, principalmente su temi di storia ed epistemologia della psicologia e
della psicoanalisi.
LA BILANCIA DELL’AMORE
(Vittorio Lingiardi)
Le coppie eterosessuali hanno lo stesso valore di
quelle omosessuali? Ma certo! - rispondo di getto. Dopo un secondo mi assale un dubbio. Sulla domanda, non sulla risposta. Qualcuno
si sta davvero chiedendo se ci sono persone, amori, relazioni che valgono meno di altre? Rispetto a cosa? Stiamo
parlando di quotazioni in borsa? Non
mi piacciono le graduatorie sul valore umano. Mi
ricordano chi dice(va) che gli ebrei, i
neri, le donne e, immancabili, gli omosessuali, valgono meno. Quando
una cosa vale meno, si butta via più
facilmente, si tratta con meno cura.
In effetti, è sempre andata così. E proprio ora che forse va un po' meglio, qualcuno torna a mettere i puntini sulle "i": «pari dignità, ma minor
valore». Indegne e senza valore di
cittadinanza erano le coppie
interraziali nell'America degli anni
'50, alle quali per legge era impedito
di sposarsi. Indegne le persone
omosessuali nella Russia di Putin (e in
Uganda, in Iran, ecc.: è lungo il triste
elenco), ma anche contrarie «ai valori del nostro popolo» le leggi
dell'Occidente che le incoraggiano e
proteggono. Dunque prive di valore le
parole di Barack Obama? «Ritengo che
le coppie dello stesso sesso debbano
potersi sposare. [...] Ero restio a usare il termine matrimonio perché evoca tradizioni molto forti e radicate. E pensavo che le leggi sulle unioni
civili per conferire i diritti alle coppie gay e lesbiche potevano essere una soluzione. Ma nel corso degli anni ne ho parlato con amici e familiari. Ho pensato ai membri del mio staff che hanno relazioni di lunga durata con persone
dello stesso sesso e che stanno
crescendo dei bambini insieme. [...]
Mi sono reso conto che, a causa
dell'ineguaglianza nel diritto al
matrimonio, le coppie del lo stesso sesso che si amano non sono considerate,
ai loro occhi e a quelli dei loro
figli, cittadini a tutti gli effetti. [...] Credo che, davanti alla legge, tutti gli americani dovrebbero essere trattati allo stesso modo».
LA GENERATIVA COME
FINE?
Una scala di valori richiede parametri. Chi li stabilisce?
Dal vocabolario online www.treccani.it/ vocabolario:
«valére, dal latino valére, essere
forte, sano; essere capace; significare:
1. a. Avere forza, potenza, autorità
e prestigio. [...] b. Essere valoroso, capace.
[...] e. Avere un alto livello di competenza,
di capacità e abilità (nella propria
professione, nel proprio mestiere,
o in altra determinato campo). [...] d. Avere forza ed efficacia legale o
logica. [...] e. Essere valido,
vero. [...] f. Avere efficacia in rapporto al raggiungimento di un fine. g. Nello sport e in vari giochi, avere effetto, contare per la vincita o la perdita, essere conforme alle regole [...] 2. a. Avere valore intrinseco, avere
pregio. [...] b. Avere un determinato prezzo
[...]» e così via. Rileggo le definizioni
senza trovarne una specifica per la
coppia omosessuale. Forse una fa al caso
nostro: «avere efficacia in rapporto al raggiungimento di un fine». Non è questa la tesi di Mauro Fornaro? Se il fine è la riproduzione, la coppia etero ha più efficacia, e dunque vale più di quella orno. La coppia omosessuale sarebbe il luogo della mancanza, dove non si
sviluppa «la medesima completezza relazionale
di una coppia eterosessuale riuscita», «manca l'integrazione come
complementarità delle diversità corporee», «manca
l'apertura alla generatività
biologica». Questa della mancanza, del resto, è un'antica fissazione psicoanalitica. Anche alle donne era attribuita una mancanza anatomica che generava la ben nota invidia.
Azzardato il concetto-immagine di «complementarietà
anatomica» e ancor più se impiegato
come parametro per stabilire il valore di una coppia e la sua riuscita. Affermazione
priva di riscontri non solo nella
ricerca scientifica, ma anche nel
buon senso. Basta essere
«anatomicamente complementari» (traduco:
eterosessuali) per essere coppie riuscite? Non sarebbe più calzante fare riferimento alla reciprocità affettiva, alla capacità d'amare, di capire e rispondere
ai bisogni del partner e, se vi sono figli,
di crescerli e accudirli, fisicamente
e psicologicamente? Inoltre: davvero
la procreazione è un parametro che consente di stabilire il valore di
una coppia? Dunque una coppia che ha messo al mondo dieci bimbi avrebbe più valore di una coppia che ne ha solo uno o, peggio, che non ne ha affatto. Limitare al concepimento il contributo di una coppia alla comunità mi sembra, nel migliore dei casi, un approccio naif che trascura la ricchezza, le potenzialità e la bellezza dei molti modi in cui
gli esseri umani possono incontrarsi.
E’ relegare l’esperienza umana alla mera biologia e a un evoluzionismo
fine a sé stesso. A furia di denunciare l’ “iperculturalismo” si finisce per
cadere nell’ “iperbiologismo”. E poi, se il
fine di una coppia fosse la
riproduzione, la bilancia psico-filosofica
di Fornaro sarebbe più precisa se
soppesasse le differenze tra coppie sterili e coppie feconde, e non tra coppie orno e coppie etero. Fino a sostenere che una coppia di genitori adottivi varrebbe
meno di una coppia di genitori fecondi. È
così? Le persone sterili o che
scelgono di non avere figli valgono meno di quelle feconde e prolifiche?
Goebbels aveva sei figli e Proust non si è riprodotto. Goebbels vale di
più?
ESISTE UN GENITORE IDEALE?
Misurare il valore di una coppia a partire dalla generatività mi sembra tra l'altro un modo per sminuire lo stesso concetto di genitorialità. Non
è anche l'inizio di una vita e, si spera,
di un progetto? Una volta nato, il bambino
dev'essere accudito, amato e cresciuto
dai genitori che possono essere, ma
possono anche non essere, quelli biologici.
Anteporre l'importanza della generatività
a quella della genitorialità mi
sembra un modo di "declassare" non solo le coppie omosessuali, ma anche quelle eterosessuali
che scelgono l'adozione. Anni fa ho ritagliato una lettera spedita a un giornale. La riporto brevemente. «lo non
sono omosessuale... ma ahimè sono sterile biologicamente. Questo non impedisce a mia moglie e a me di considerarci coppia da più di dieci anni, e di considerarci a
tutti gli effetti genitori della nostra splendida figlia adottiva. Altre migliaia di
famiglie adottive si considerano coppie, genitori e famiglie pur senza aver avuto
quello che dai pulpiti delle chiese che frequento viene definito "il bene della
procreazione". Il mio timore è che questi inni alla famiglia come istituzione
naturale portino a svalutare il significato degli affetti che legano famiglie
come la nostra, che non si fondano sui vincoli di sangue, ma su legami di accoglienza
reciproca resi più stabili grazie a un riconoscimento giuridico...».
Si può diventare
genitori in molti modi. E se la sessualità non sempre coincide con la
procreazione, non sempre il concepimento coincide con la genitorialità. E
soprattutto la coppia generativa eterosessuale non sempre coincide con la riuscita (che
potrebbe coincidere, piuttosto, con la bontà delle relazioni all'interno della
famiglia). Qual è il "vero genitore"? Quello che mette a disposizione la propria
biologia o quello che cresce il figlio fornendogli cure e sicurezza? Non sempre le due opzioni
coincidono: ci sono genitori biologici incapaci di fornire cure e sicurezza e
genitori
non biologici (o coppie di genitori di cui uno solo è biologico) che ne sono capaci. D'altra parte,
anche le persone gay e lesbiche possono essere genitori e, attraverso
l'inseminazione artificiale (pratica a cui ricorrono anche molte coppie eterosessuali),
possono generarli.
Purtroppo nell'opinione comune il tema della genitorialità omosessuale è di
solito
affidato a posizioni ideologiche o viscerali. Ma assumere posizioni prive di sostegno empirico
finisce per essere dannoso per gli stessi bambini, implicitamente guardati come "figli di
un dio minore".
Per ragioni di spazio non mi posso dilungare sulle moltissime ricerche in tema di
omogenitorialità, ma consiglio la lettura dell'eccellente numero monografico curato da
Anna Maria Speranza per la rivista Infanzia e adolescenza (2013).
NON SOLO UNA FAMIGLIA "TRADIZIONALE"
Se si accetta di non considerare unica e
immodificabile la famiglia "tradizionale" (che non significa né
"storica" né "naturale") bisogna accettare l'esistenza delle
sue diverse
forme. Senza nulla togliere alla famiglia edipica "tradizionale",
condivido
quanto più volte affermato dall'A-merican Psychoanalytic Association (2002/2012) secondo
cui I'«interesse del bambino è sviluppare un attaccamento verso genitori coinvolti, competenti e capaci di
cure [...]», inoltre «la valutazione di queste qualità genitoriali dovrebbe essere
determinata senza pregiudizi rispetto ali'orientamento sessuale». Lo stesso
affermano altre importanti associazioni scientifiche e professionali, dall'American
Association of Pediatrics all'Associazione Italiana di Psicologia: «adulti
coscienziosi e capaci di fornire cure, siano essi uomini o donne, etero o omosessuali
possono essere ottimi genitori» (Pawelski et al., 2006). Per essere buoni
genitori non basta essere eterosessuali, così come essere omosessuali non
significa essere cattivi genitori. «Ben vengano - scrive Antonino Ferro (2013),
presidente della Società Psicoanalitica Italiana (SRI) - bambini di coppie che si
amano e che siano capaci di buoni accoppiamenti mentali. Non sarà il sesso
biologico dell'uno o dell'altro ad aver più peso ma le attitudini mentali dell'uno e dell'altro. I
figli li faccia chi ha voglia di accudirli
con amore». Un figlio può essere concepito senza essere pensato, cercato a tutti i costi, o arrivare grazie ad una delle tante possibilità comprese tra questi due estremi. Ogni concepimento, nascita, adozione ha una sua
storia da raccontare, più o meno
consapevole, più o meno fortunata.
È vero che la pianificazione accurata di una maternità o di una paternità può rivelare «un desiderio narcisistico, l'aspirazione a una completezza autarchica che trasforma il figlio in un complemento di sé» come giustamente osserva lo psicoanalista Thanopulos (2006). Ma ben sappiamo che la ricerca narcisistica del figlio, e la negazione della sua alterità, può riguardare ogni genitore, come tante volte rileviamo nel lavoro clinico
con famiglie "normali".
L'INTEGRAZIONE DELLE DIFFERENZE
Fornaro è molto preoccupato dalla specularità narcisistica fisica e psichica
dei componenti la coppia omosessuale.
Questa sarebbe la base della sua inferiorità. Kohut (1987), grande studioso del narcisismo, ci ricorda che esistono relazioni eterosessua-i
fortemente narcisistiche e relazioni omosessuali
mature in cui il partner è riconosciuto
e amato come soggetto separato e
autonomo. E poiché cita Cho-dorow,
consiglierei la lettura di Femminile, maschile, sessuale:
Sigmund Freud e oltre (1994). Molti sono i modi in cui i partner di una
coppia possono arricchirsi
reciprocamente e arricchire chi sta
loro intorno. Se un valore è l'integrazione
delle differenze, credo che ribadire
ruoli rigidi e prestabiliti, spesso figli di stereotipi crudeli ancorati al pregiudizio e all'"anatomia come destino", non renda giustizia alle tante potenzialità della coppia e della relazione amorosa. È alquanto riduttivo appiattire le differenze psichiche individuali alle differenze anatomiche e/o ai ruoli di genere. Fornaro pensa che le dinamiche delle coppie omosessuali siano molto diverse da quelle delle coppie eteroses-suali.
Non è così, e tante ricerche lo dimostrano. La maturità e il livello di differenziazione di una relazione amorosa
dipendono sostanzialmente dalle caratteristiche
di personalità dei partner, non dal
loro orientamento sessuale. La
varietà di "giochi", come li chiama Fornaro, che possono verificarsi in una coppia sono infiniti e, in un continuum relazionale che va dal normale al patologico, riguardano etera e omosessuali. Attenzione a trattare maschile/femminile, razionale/irrazionale, attivo/passivo, culturale/naturale, ecc.
come categorie in opposizione. La
schematizzazione binaria finisce per
produrre le sue derive: attivo è
meglio di passivo, maschio è meglio
di femmina, alto è meglio di basso,
bianco è meglio di nero, etero è meglio di orno, ecc.
I PREGIUDIZI DELLA PSICO-ANALISI
Se si vuole parlare scientificamente di omosessualità, il
primo passo
da compiere è quello di mettere da parte i pregiudizi che sono cattivi
consiglieri. La stessa psicoanalisi ne è stata vittima per decenni. Non è vero, infatti, come afferma
Fornaro, che «è certo merito della tradizione psicoanalitica aver evidenziato [...] che
l'omosessualità
non è una patologia». Poco dopo si contraddice: «nella stessa tradizione psicoanalitica l'omosessualità è per lo più ritenuta una forma di relazione immatura, risultando da uno sviluppo incompleto». Si decida-, se l'omosessualità non è una patologia, non si vede perché le relazioni tra persone omosessuali dovrebbero essere patologiche. Se invece l'omosessualità è una patologia, lo dica apertamente. Del resto, in passato, oggi sempre meno, molti psicoanalisti l’hanno considerata tale, e proprio sostenendo affermazioni come quelle avanzate da Fornaro, quando, risvegliando vecchie teorie, descrive la persona omosessuale con queste parole: «identico sul piano del sesso biologico,
ma spesso pure sul piano psicologico, se prevalgono le componenti narcisistiche, rilevabili specie nella coppia omosessuale, per cui nell'altro si ama il simile a sé». Incoerenza tra orientamento sessuale e appartenenza di genere e personalità narcisistica sono
purtroppo i vetusti pregiudizi psicoanalitici
di Rado, Bieber, Ovesey e Socarides
che, esasperando la lettura freudiana
dell'omosessualità come condizione difensiva e arresto/inibizione dello sviluppo psicosessuale, forniscono le basi teoriche per le terapie riparative (per approfondimenti: Lingiardi e Luci, 2006; Lingiardi e Nardelli, 2014; Pigliano, Cilibertoe Ferrari, 2012).
Kernberg (2002) ci ricorda che «lo studio dell'omosessualità è un classico
esempio dell'impatto deleterio che l'ideologia ha avuto sulla ricerca accademica». Attualmente,
non solo la psicoanalisi, ma tutte le discipline che hanno a che fare con la salute mentale
considerano gli omosessuali al pari degli eterosessuali: gli uni come gli altri possono essere sani o
affetti da nevro-si, psicosi o altre psicopatologie. Idem per la coppia: esistono relazioni
mature tanto nelle coppie eterosessuali quanto in quelle omosessuali, e relazioni più
o meno
patologiche tanto nelle prime quanto nella seconde. Non sempre l'o-mofobiasi manifesta in
modo esplicito. In modo più sottile, a volte si veste da "eterofilla". La quale
riconosce dignità alle persone omosessuali, ma continua a pensare che l'eterosessualità sia migliore
dell'omosessualità. Come osserva la filosofa Martha Nussbaum (2010), spesso il disgusto
annienta l'umanità.
Riferimenti bibliografici
American Psychoanalttic Association (APA, 2002/2012), «Position
Statement on Pa-renting», www.apsa.org/About_APsaA/
Position_Statements/Parenting.aspx.
Chodorown.J. (1994), Femminile maschile sessuale. Sigmund Freud e oltre
(trad. it.), La Tartaruga, Milano, 1995.
Ferro A. (2013), «Nel Presepe moderno anche le coppie gay», Corriere
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Kernberg 0. F. (2002). «Unresolved issues in thè psychoanalytic theory
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LlNGlARDiV. (2007/2012), Citizen gay. Affetti e diritti (ed. aggiornata
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Lingiardi V., Luci M. (2006), «L'omosessualità in psicoanalisi». In P.
Riglìano, M. Graglia (a cura di), Gay e lesbiche in psicoterapia, Raffaello
Cortina, Milano, pp. 1-72.
Lingiardi V., Nardelli N. (2014). Linee guida per la consulenza
psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche, gay e bisessuali,
Raffaello Cortina, Milano.
Nussbaum M. C. (2010), Disgusto e
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sessuale di fronte alla legge (trad. it.), il Saggiatore, Milano, 2011.
Pawelski 1. G., Perrin E. C., Foy
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Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, è
Professore ordinario di Psicologia dinamica alla Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza Università dì Roma, dove dal 2006 al 2013 ha diretto la Scuola di specializzazione in Psicologia cllnica. Tra le sue pubblicazioni più recenti ricordiamo? La
valutazione della personalità con la SWAP-200 (con J. Shedler e D.Westen; Cortina 2013).
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