martedì 8 settembre 2020

A scuola nessuno è straniero: La dimensione inclusiva nella formazione (di Stefano Cifelli)

 

1. Introduzione.

Il presente articolo vuole proporre alcuni spunti di riflessione intorno ai due testi di riferimento, “La scuola diseguale: dispersione ed equità nel sistema di istruzione e formazione” di Guido Benvenuto e “La scuola salvata dai bambini - Viaggio nelle classi senza confini” di Benedetta Tobagi.

 

Il primo testo, con un titolo eloquente, analizza il fenomeno della dispersione e degli abbandoni scolastici, con particolare riferimento ai drop out1, attribuendo le cause principalmente a una scuola che, invece di formare i ragazzi tramite una didattica flessibile, personalizzata, integrata con percorsi nel mondo del lavoro, propone invece un percorso uguale per tutti, ed un modello pedagogico che tende a premiare i “meritevoli”, lasciando indietro gli altri, senza cercare di analizzare le cause, le quali sono diverse2 ma conducono tutte allo stesso risultato, che è quello di alimentare gli abbandoni scolastici, e di conseguenza, un futuro di emarginazione nella società civile.

Il secondo testo è costruito su un modello di “diario”, perché descrive un viaggio dell'autrice lungo le varie realtà scolastiche di diverse città della penisola italiana, durante il quale incontra diverse persone, tra docenti, personale scolastico, bambini e ragazzi, tramite i quali conosce diverse realtà scolastiche, tutte accomunate da un problema che finisce poi per impattare sulla didattica e quindi sulla formazione adeguata degli alunni: la scarsa quantità di fondi erogati, necessari per attuare ciò che la normativa definisce “buona scuola”. Vale la pena ricordare però che di fronte a tale carenza di fondi, i responsabili dei plessi scolastici sono riusciti a coinvolgere i genitori dei ragazzi, i quali hanno dato un contributo importante, soprattutto quelli immigrati, che si sono coinvolti in prima persona per esempio offrendosi personalmente per ristrutturare i locali della scuola, facendo come professione proprio lavori di edilizia. Inoltre, altre scuole hanno organizzato una sorta di auto tassazione delle famiglie, per finanziare alcuni progetti importanti per l'educazione dei ragazzi, attuando una forma di finanziamento privato al settore pubblico. Ma questi esempi, seppur lodevoli, dovrebbero essere l'eccezione, e non purtroppo la regola, come più di frequente avviene.

Il problema della mancanza dei fondi ha origini molto “a monte”: questo è il frutto di politiche neo liberiste, che purtroppo si stanno affermando in varie parti del globo, le quali sottraggono risorse a progetti di natura pubblica, dalla sanità, alla scuola, eccetera. Sul versante della scuola poi, tale persorso liberista, si è tradotto in una scuola altamente selettiva, dove i “meritevoli” vanno avanti e travano lavori altamente qualificati, e gli “ultimi” vengono tirati fuori dal sistema, condizionando per sempre il loro futuro sociale e lavorativo. E' proprio quello che Don Milani ha cercato di combattere e di contrastare, ma che, purtroppo, si sta riproponendo sempre con rinnovata forza.

Proprio tra questi “ultimi”, si popone con bruciante attualità il fenomeno migratorio, iniziato negli anni '90, e proseguito fino ai nostri giorni.

I migranti, una delle conseguenze di questa economia neo liberista orientata al profitto di pochi a svantaggio di molti, hanno portato con sé anche nuove sfide e nuovi problemi. In particolare, in Europa, il fenomeno ha portato alla rinascita dei movimenti populisti xenofobi e razzisti 3, che si sperava fossero morti dopo la caduta del fascismo e del nazismo.

Come sosteneva giustamente un noto scrittore e poeta marocchino, “Siamo sempre lo straniero di qualcun altro. Imparare a vivere insieme è lottare contro il razzismo”. È questo ciò che scrisse Tahar Ben Jelloun e ciò che vorrei ricordare in questo articolo.

In tale contesto, la Tobagi ci descrive nel suo libro – diario, il tema dell'immigrazione, proponendolo come risorsa da condividere tra tutti, e non come un problema. Certo, i flussi migratori andrebbero regolamentati, e le persone distribuite equamente tra i vari Stati di accoglienza, insomma andrebbe ridisegnata una politica migratoria comune internazionale, visto che per eliminare le cause profonde del fenomeno ciò richiederebbe un lavoro più complesso, rivolto al totale ripensamento ed a una progettazione innovativa di tutto il sistema economico mondiale.



2. Immigrazione: una possibile convivenza tra culture

Come si fa a far diventare l'immigrato una risorsa, anziché un problema?

Il problema è difficile e complesso, bisognerebbe partire dal cambiamento di mentalità, con l'eliminazione di certi pregiudizi, primo tra tutti “gli immigrati ci rubano il lavoro”.

Comunque la scuola, nella sua funzione educativa e sociale, può fare molto. La scuola può puntare ad una educazione multiculturale, puntando sulla naturale curiosità dei bambini e dei ragazzi verso mondi e cose nuove, diventando così un potente veicolo di inclusione.

Vale la pena accennare qui alla differenza tra integrazione ed inclusione: spesso i due termini sono confusi come sinonimi, ma non è così. L'integrazione si propone il reperimento di risorse per consentire il raggiungimento di risultati nell’ambito dell’autonomia, socializzazione, comunicazione. L’inclusione invece, si pone l’obiettivo del superamento delle barriere alla partecipazione e all’apprendimento.

L'integrazione, in particolare, è rivolta a un soggetto specifico, al fine di recuperare i suoi ritardi specifici rispetto al gruppo classe: è un processo che tende a “omologare” gli individui, verso uno standard comune, non valorizzando così le loro singole caratteristiche.

L’inclusione, invece, è un processo continuo, quotidiano, in cui tutti gli insegnanti e i percorsi di apprendimento devono poter rispondere alle differenze dei vari soggetti (tutti!) in un’ottica di sostegno distribuito, valorizzando in tal modo le singole personalità e attitudini degli alunni. E' proprio quello che cercava di realizzare Don Milani!

L'arrivo inaspettato e dirompente dei flussi migratori, ha costretto la scuola a modificare una sua impostazione didattica tradizionale, improntata alle classiche lezioni frontali, dove l'insegnante spiega e l'alunno ascolta passivamente la lezione. Invece nei moderni modelli didattici, la conoscenza viene essenzialmente co-costruita insieme agli insegnanti ed agli alunni più “esperti”, che svolgono una funzione di scaffolding4 verso gli studenti che devono apprendere.

Ciò è proprio quello che propone un modello didattico improntato all'inclusione: si comincia da un cambiamento culturale interno, ossia da ciò che si può fare partendo da ciò che abbiamo, dalla valorizzazione delle risorse presenti, dalla collaborazione tra persone con ruoli diversi ma con obiettivi condivisi. Inizia integrando gli stessi insegnanti, individuando in essi risorse eterogenee (intese come competenze diverse) e però diffuse, messe in campo con finalità comuni e condivise.

Il testo della Tobagi descrive come come le insegnanti, nonostante i problemi legati ai tagli ai finanziamenti alla scuola, cerchino di mettersi in gioco affrontando difficoltà legate alla lingua e ai pregiudizi di molte famiglie italiane che troppo spesso pensano che i bambini stranieri possano creare problemi o rallentare il programma didattico. Quello che emerge da questa lettura è che i bambini stranieri rappresentano una ricchezza, un modo per conoscere nuove culture, nuove etnie, nuovi costumi. E soltanto accettando queste diversità con il loro bagaglio di difficoltà e di sfide che si possono ampliare le offerte formative nelle scuole. Crescere e studiare in una classe mista permette di conoscere una porzione di mondo più grande. Il lavoro di Tobagi fa emergere con chiarezza la forza, lo spessore, la sensibilità, le fragilità di tutte le persone che ogni giorno cercano di fare il possibile senza perdersi d’animo fuori e dentro la scuola. E’ un viaggio attraverso il loro lavoro quotidiano che emoziona e rende in maniera vivida una realtà tanto difficile quanto importante per il futuro delle nuove generazioni e non solo.

L'autrice del libro descrive inoltre come le famiglie straniere dimostrino un grande rispetto per il valore della scuola, della cultura, della lettura, un rispetto che a volte non si riscontra più negli italiani. In pratica, ne riconoscono il valore educativo e sociale, di ente autorevole e legittimato ad impartire una buona educazione ai loro figli.

Si descrivono anche alcune errate convinzioni degli autoctoni, in riferimento alle paure di molti genitori italiani è che in classi troppo multietniche si resti indietro con il programma. In alcuni genitori è forte la convinzione che la scuola migliore sia quella che insegni ai loro figli la competitività. Secondo Tobagi, invece, è importante sottolineare come le migliori prassi didattiche siano quelle inclusive e non quelle competitive. E’ inoltre fondamentale coinvolgere i genitori nella vita della scuola in un rapporto che accompagni in modo proficuo i percorsi dei bambini ma tutto questo richiede attenzioni e strategie adeguate. Bisogna lavorare su più fronti e, a tale scopo, diventa centrale la figura del mediatore culturale.

Infatti, i mediatori culturali si fanno interpreti e traduttori di culture e tradizioni; lavorano con gli insegnanti in un progetto internazionale, con l’obiettivo di aiutare la relazione tra scuola e allievi stranieri e di favorire la relazione con culture diverse. E’ importante che il loro intervento sia progettato con l’insegnante in quanto la domanda di mediazione da parte della scuola è legata a bisogni definiti e contesti specifici. L’intervento del mediatore linguistico-culturale si colloca su piani differenti:

Accoglienza mediante una funzione di tutoraggio e facilitazione nei confronti degli alunni neo arrivati;

Integrazione tra le informazioni circa l’offerta formativa del paese d’origine e il paese di destinazione e di collaborazione nella fase di rilevazione delle competenze, della storia scolastica e personale del bambino;

Comunicazione e relazione attraverso un’azione di interpretariato e traduzione nei confronti delle famiglie straniere, in particolare nel corso dei colloqui tra insegnanti e genitori stranieri;

Cultura e Inter-cultura mediante la collaborazione alle proposte e ai percorsi didattici di educazione interculturale nelle classi.

Nella relazione con la famiglia straniera il mediatore agisce presentando la scuola e l’organizzazione scolastica e promuovendo la partecipazione dei genitori alle iniziative scolastiche. Infatti, spesso, il coinvolgimento e la collaborazione dei genitori si rivelano fondamentali. Nell’ambito dell’educazione interculturale il mediatore opera per la valorizzazione della lingua d’origine e della cultura d’appartenenza, per la costruzione di programmi didattici di educazione interculturale. Questa figura deve possedere competenze: pedagogiche, di animazione e di comunicazione. Le competenze che il mediatore dovrebbe avere si riferiscono alle seguenti aree: interpretariato/traduzione, accoglienza, informazione nei confronti delle famiglie e degli insegnanti, prevenzione e gestione dei conflitti e dei malintesi, accompagnamento inteso come la capacità di cogliere le situazioni di solitudine/isolamento e progettazione. Purtroppo a causa dei tagli e delle poche risorse destinate alla scuola c’è una carenza di mediatori e spesso sono le scuole a doversi sobbarcare l’onere finanziario per poter fruire di questo servizio così importante.

Ho accennato più sopra al fatto che la scuola debba essere un importante veicolo per l'inclusione degli alunni, ma anche dei popoli. In questa prospettiva, alcune scuole descritte nel testo della Tobagi, hanno ben capito che la diversità sia sinonimo di normalità: bambini italiani e stranieri giocano tra di loro, e sono i primi a passare oltre le differenze culturali, di colore della pelle o di lingua. Ognuno ha l'occasione di vedersi reciprocamente riconosciuta la propria identità culturale, senza prevaricazioni o pregiudizi, in un clima di gioco condiviso e di rispetto reciproco

Tra i progetti volti a favorire l'inclusione nelle scuole, meritano di essere citati l’insegnamento di alcune materie come musica ed educazione, per il tramite della lingua inglese, e ciò a notevolmente favorito l'apprendimento di questa lingua. Altre scuole utilizzano il gioco, come occasione di socializzazione ed incontro tra lingue e culture diverse. Inoltre si organizzano attività extra curricolari, come progetti di teatro, progetti interculturali di varia natura che coinvolgono a volte anche i genitori dei bambini e dei ragazzi, anche per sviluppare un dialogo costruttivo tra scuola e genitori, che sono le figure educative più prossime agli studenti, e quindi diviene importante la loro collaborazione (penso a quanto ho detto prima riguardo ad esempio a certe paure dei genitori, che i loro figli finiscono per dimenticare le loro radici culturali).

Il discorso degli alunni stranieri nelle classi delle scuole italiane si intreccia in modo funzionale con il discorso su bilinguismo. Esistono molte ricerche attualmente che dimostrano che i bambini bilingui hanno una “marcia in più”.





3. Bilinguismo: problema o risorsa?


I bambini bilingui sono una realtà sempre più presente nel nostro paese, soprattutto per effetto dei flussi migratori e dei matrimoni misti.

Il discorso dei bambini bilingue5 si connette a quello dell'insegnamento della lingua italiana a scuola per i bambini che arrivano da paesi molto diversi tra di loro, sia culturalmente che linguisticamente. La normativa italiana prevede l'insegnamento dell'italiano a scuola come seconda lingua, oltre quella di origine parlata in famiglia.

Insegnare italiano come L2 non è come insegnare una lingua straniera. Per i bambini stranieri, l’italiano non è la lingua degli affetti, della casa e quella con cui hanno iniziato a comunicare con la mamma, ma non è neppure la lingua straniera appresa attraverso gli strumenti guidati del libro e delle lezioni. Essi acquisiscono la lingua giocando, camminando per strada, guardando la televisione, ascoltando le persone che parlano. Si tratta allora di una situazione di apprendimento mista, che si realizza in situazioni e momenti espliciti e intenzionali dedicati al loro specifico problema linguistico, tanto di un’acquisizione spontanea. Questa consapevolezza deve far capire agli insegnanti che si occupano del bambino a stabilire transfer continui tra i due momenti. Non è certo la situazione di “bagno linguistico” che consente al bambino di poter parlare l'italiano correttamente e in tempi brevi.

Per favorire il plurilinguismo, l’Europa ha stabilito l’insegnamento di almeno una lingua straniera fin dalla scuola primaria. In questo modo i bambini italiani e non sono messi nelle stesse condizioni e nessuno si sente più straniero dell’altro. In quasi tutte le scuole, come osserva Tobagi, si cerca di promuovere la lingua madre di ognuno, ciascuno può insegnare all’altro la propria lingua così da potersi sentire più ricchi, ognuno può sentirsi a casa e allargare i propri orizzonti imparando ad accogliere e a valorizzare le “diversità”. Questo è anche ciò che chiedono chiaramente i genitori dei bambini e dei ragazzi, preoccupati che i loro figli non perdano le loro radici.

Dietro tale esplicita richiesta, una scuola di Milano ha realizzato un progetto, denominato “Lingue di scolarizzazione e curricolo plurilingue”, che mette ogni alunno nelle condizioni di poter approcciare lo studio di almeno dieci lingue ed è importante potenziare questa fase perché i bambini sono in una fascia d’età in cui hanno una grande curiosità per i linguaggi ed hanno strutture neurologiche molto flessibili e plastiche, ideali per questo tipo di apprendimento. Le lingue madri vengono valorizzate in modo giocoso e naturale e i vantaggi cognitivi per i bambini che crescono esposti a più lingue, sono notevoli e dimostrati da anni di ricerche6.

 

4. Conclusioni

 

Da quanto fin'ora detto, è chiaro che l'apprendimento efficace della lingua parlata nel paese ospitante, da parte dei bambini e ragazzi, ma anche da parte dei genitori, sia un collante fondamentale per l'inclusione a scuola ed il futuro inserimento adulto nella società.

In questa prospettiva, il testo della Tobagi evidenzia come le interazioni tra i compagni siano un catalizzatore efficace per l'apprendimento dell'italiano “sul campo”. Altrettanto valide ed efficaci si rivelano alcune iniziative che alcune scuole italiane organizzano coinvolgendo i genitori dei bambini e dei ragazzi: anche nell'apprendimento dell'italiano la scuola ha dimostrato di saper usare e valorizzare le varie risorse ed opportunità che gli si sono presentate. Ma bisogna ribadire che è errato pensare di dover lasciare tutto alla libera iniziativa delle scuole, anche se capaci di attuare iniziative lodevoli ed efficaci. La scuola deve ritornare ad essere un'istituzione fondamentale per uno Stato che si professa democratico, garantendo l'istruzione a tutti, e non lasciando indietro alcuni sulla base di scarsità di risorse o di una progettazione di curricoli altamente selettivi. La scuola, come istituzione pubblica, aperta a tutti, inclusiva, deve garantire l'istruzione a tutti! In tal modo la scuola diviene veicolo di transizione verso una società più equa e solidale, valorizzando al tempo stesso i singoli individui, i quali nella scelta del percorso formativo non si sentano costretti a seguire le strette logiche di mercato, ma che veramente seguano liberi le loro inclinazioni personali. E' qui che la scuola risponde al suo compito fondamentale: contribuire alla piena realizzazione dell'individuo, rispettandone la sua unicità ed inclinazioni personali!


______________________________________________________


BIBLIOGRAFIA:


Benvenuto G., La scuola diseguale. Dispersione ed equità nel sistema di istruzione e formazione. ANICIA Srl, Roma, 2011

  

Tobagi B., La scuola salvata dai bambini. Rizzoli, 2017


Morrow G., “Standardizing practice in the analysis of school drop-outs” in: Natriello G. (a cura di) School Drop-outs. Patterns and Policies, Teachers College Press, New York 1986.


Cifelli S., Le basi psicologiche del razzismo, 2014


Wood D., Bruner J. S., Ross G., The role of tutoring in problem solving, in Journal of Child Psychology and Psychiatry, volume 17, da pp.89 a 100, Pergamon Press, 1976


Cifelli S., Competenze e disturbi di linguaggio nel plurilinguismo

__________________________________________

 

NOTE:

 

1 Si indica con questo termine quegli studenti che, per varie ragioni, non completano il corso degli studi e quindi non conseguono un titolo di studio per il corso al quale si erano inizialmente iscritti

2 Morrow distingue ben 5 tipi di drop out: 1.i cacciati (pushout), allievi indesiderabili che la scuola cerca attivamente di allontanare da sé; 2.i disaffiliati (o disaffezionati) (disaffiliated), studenti che non provano attaccamento per la scuola; 3.le mortalità educative (educational mortalities), studenti che non riescono a completare il ciclo di studi; 4.i drop-out capaci (capable drop-out), studenti che hanno capacità adeguate ai programmi scolastici, ma non riescono ad adeguarsi alle richieste della scuola; 5.gli studenti che lasciano la scuola e ne stanno fuori per un breve periodo (stop-out), dopo il quale rientrano.

3 S. Cifelli, Le basi psicologiche del razzismo, 2014, in http://stefanocifelli.blogspot.com/2014/07/le-basi-psicologiche-del-razzismo-di.html

4 Bruner, 1976

5 S. Cifelli , Competenze e disturbi di linguaggio nel plurilinguismo, in http://stefanocifelli.blogspot.com/2020/08/competenze-e-disturbi-di-linguaggio-nel.html

6 Vedi nota 5

Nessun commento:

Posta un commento