Lo stress è contagioso proprio come il raffreddore (di SARA FICOCELLI)
Tecnicamente si parla di "stress passivo" e l'ultimo studio a
sostenerne la pericolosità arriva dall'università delle Hawaii. Colpisce
più le donne. L'esperto: "Non è una malattia, ma può dare problemi. Chi
subisce è una bomba pronta a esplodere" (da Repubblica del 30/11/2011)
Il vostro capo entra in ufficio trafelato e automaticamente in voi sale
l'agitazione. Vostro marito o vostra moglie si siede a tavola e comincia
a parlarvi dei suoi problemi al lavoro, mandandovi di traverso la cena.
Non si tratta di semplici insofferenze: in quei casi a impadronirsi di
voi è lo stress. Che si trasmette all'organismo direttamente da chi vi
sta accanto, proprio come il raffreddore. Per quanto il paragone sembri
eccessivo è proprio così che funziona. Colleghi d'ufficio con le loro
lamentele, familiari frustrati, figli rapiti dall'angoscia per un esame:
tutto influenza l'umore, perché tocca direttamente il sistema nervoso e
la psiche.
Tecnicamente si parla di "stress passivo" e l'ultimo
studio a sostenerne la pericolosità arriva dall'università delle Hawaii,
condotto dagli psicologi Elaine Hatfield, John T. Cacioppo e Richard L.
Rapson. Secondo la ricerca (1),
intitolata "Emotional contagion", lo stress si comporta come una
malattia: c'è un portatore iniziale che infetta gli altri, i quali lo
covano fino a farlo esplodere, contagiando a loro volta altre persone.
"Ci sono persone in grado di imitare le espressioni facciali, vocali e
posturali altrui con una rapidità sorprendente. Sono le stesse che sono
in grado di identificarsi emotivamente nelle altre vite", spiega la
Hatfield.
Il fenomeno colpisce più le donne degli uomini, ragion per cui i giornali ne parlano come di un "contagio
emotivo" femminile. Nei maschi l'effetto sembra meno evidente,
probabilmente perché la donna è più portata a essere in sintonia con le
sofferenze degli altri. Il problema è che queste emozioni negative, se
sperimentate più volte, addormentano la capacità di resistervi e
costringono la persona "contagiata" ad assumerle quasi fossero proprie.
Spingendola persino ad adottare le posture fisiche del collega
stressato.
Uno dei casi presi in esame racconta ad esempio di
una giovane impiegata 26enne di Londra, felicemente sposata, entrata in
crisi dopo aver ascoltato per filo e per segno le vicende del matrimonio
della collega, finendo col litigare con il marito per problemi
importati da un'altra famiglia. Quasi per liberarsene.
Pochi mesi
fa un'altra ricerca dell'Accademia di Finlandia pubblicata su "European
Journal of Developmental Psychology" ha rivelato che a pagare lo scotto
dello stress e della tensione nervosa dei genitori sarebbero i figli,
con ricadute negative anche sul rendimento scolastico.
I
ricercatori hanno intervistato oltre 500 ragazzi e rispettive famiglie e
le risposte hanno dimostrato come i genitori che vivevano un disagio
fisico ed emotivo avessero maggiori probabilità di "contagiare" i figli,
specie se dello stesso sesso.
Gli inglesi, che lavorano in media
48 ore a settimana, prendono molto sul serio il problema dello stress
(sono stati loro a definirlo "la peste del 21° secolo", riprendendo la
famosa definizione della depressione per quanto riguardava il secolo
scorso) ma anche noi faremmo bene a preoccuparci.
Secondo
un'indagine condotta su un campione di italiani fra i 18 e i 64 anni e
promossa dall'Anifa (Associazione nazionale dell'industria farmaceutica
dell'automedicazione), nel nostro Paese il fenomeno colpisce infatti 8
persone su 10, per lo più donne. E il 58% degli intervistati ha
dichiarato che il proprio livello di stress è aumentato negli ultimi
anni, principalmente a causa di lavoro (54%) e problemi economici (46%).
"E' un fenomeno assolutamente reale e assai diffuso. Ma lo
stress non è una malattia. Bensì una reazione complessa dell'organismo,
capace di svilupparsi in maniera anomala e provocare disagio e malattia,
anche fisica. Fino all'esaurimento (exhaustion)", spiega lo stressologo
Carlo Pruneti, responsabile del dipartimento di psicologia clinica
dell'università di Parma. "Alcuni soggetti - continua - a causa della
loro elevata capacità immaginativa, emozionale ed empatica, reagiscono
all'ansia in modo particolare, e per i più sensibili la cosa sfocia nel
cosiddetto "disturbo di dipendente di personalità" ".
Senza
toccare necessariamente la patologia, ci sono persone che cercano e in
qualche modo trovano conferme prevalentemente all'esterno di sé: "In
particolare - spiega Pruneti - possono venire influenzate più di altre
da comportamenti, descrizioni e racconti. Questo tipo di individui,
definiti dagli psicologi "esteriorizzanti", sono più sensibili e
suggestionabili e si pongono in una situazione di vulnerabilità poiché
il "peso" delle parole e dei giudizi altrui è, per loro, particolarmente
elevato".
In alcuni casi, infatti, la tendenza ad appoggiarsi
agli altri può coincidere con una mancata conferma. Non sempre amici e
colleghi possono offrire a chi è più fragile l'attenzione o l'aiuto più o
meno tacitamente richiesti per un evento o situazione negativa (come
nel caso di uno stato di disagio o malattia) e in questi casi la persona
bisognosa di conferme va incontro a una "crisi" del proprio sistema di
convinzioni, reagendo con ansia o depressione, perché privata dei punti
di riferimento necessari.
"Vi sono poi persone - continua
l'esperto - che non sono di per sé dipendenti ma che tendono a
"esternalizzare" le proprie sensazioni e sentimenti, anche in maniera
indiscriminata. Il fenomeno è più presente nel sesso femminile, che
spesso interpreta in maniera egocentrica il concetto di amicizia,
sentendosi autorizzato a utilizzare l'altro come un vero e proprio
contenitore nel quale riversare i propri problemi, descritti quasi
sempre con toni catastrofici".
L'esperto spiega anche che spesso
queste persone hanno uno scarso senso dell'opportunità e del tempismo e
che possono tranquillamente telefonare alle due di notte per "sfogarsi"
con l'amica, o "aggredire" la collega confidente appena entrata in
ufficio iniziando a sfogarsi con lei prima ancora che si sia levata il
capotto e seduta alla scrivania. "Questo persone - precisa - sono delle
vere e proprie "bombe" innescate e pronte a esplodere, spesso generando
reazioni a catena nell'ambiente che le circonda".
Come
contraltare vi sono poi dei soggetti dotati di un elevato grado di
sensibilità e con più o meno atavici sensi di colpa (fenomeno sociale
discretamente diffuso ad esempio in un Paese cattolico come l'Italia),
affetti dalle cosiddette sindromi di San Francesco o di Maria Teresa di
Calcutta. "Sono persone che, con apparente pazienza e molta
rassegnazione - spiega Pruneti - ascoltano, subiscono e raramente
reagiscono al sopruso di sentirsi rovesciare addosso i fatti dell'altro,
in un rapporto assolutamente impari del tipo "ascolto il 90% del tempo e
parlo o mi confido per il 10% quando va bene".
Questi soggetti
finiscono così col subire l'altro con una certa passività, pur essendo
di solito vivaci e attivi e proprio per queste loro qualità presi di
mira e "spremuti". Fungere da "deposito" e cercare di gestire le
disgrazie e le sofferenze altrui non è insomma cosa semplice ed è bene
tener presente la cosa prima di confidare i propri grattacapi all'amico,
collega o compagno di turno. Onde evitare che la "bomba" esploda.
Note:
(1) http://catdir.loc.gov/catdir/samples/cam031/93003921.pdf
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