lunedì 9 luglio 2018

La pedagogia di Gesù (di Stefano Cifelli)


Il termine pedagogia deriva deriva dal greco παιδαγογια (generare bambini, procreazione), da παιδος (paidos: bambino) e αγω (ago: guidare, condurre, accompagnare) (1). (Wikipedia)
La pedagogia è la disciplina umanistica che studia l'educazione e la formazione dell'uomo nella sua interezza ovvero lo studio dell'uomo nel suo intero ciclo di vita. Non si occupa esclusivamente dei bambini e dell'infanzia ma anche degli adolescenti, giovani, adulti, anziani e disabili; si occupa quindi degli approcci educativi relativi a tutti i compiti evolutivi dello sviluppo. Insieme alle altre Scienze Umane si rivolge dunque ai contesti formali, non-formali e informali dove avviene il processo di cambiamento proprio della pedagogia stessa.


 Scrive Clemente Alessandrino, nel suo libro “Il pedagogo Gesù Cristo”: “…il nostro pedagogo, ha tracciato per noi il modello della vita vera e ha educato l’uomo che vive in lui. Assumiamo dunque il salvifico stile di vita del nostro Salvatore, noi figli del Padre buono e creature del buon pedagogo”(2).
La pedagogia di Gesù è centrata essenzialmente su due punti: il suo stile di vita, improntato su ciò che egli predicava, e le parabole.
Sul primo punto non vi è alcun dubbio che una persona che mette in pratica quello che dice, lascia senz’altro un forte messaggio alle persone con le quali entra in relazione.
Per quanto riguarda le parabole, sono da ritenersi un validissimo strumento per poter spiegare in maniera chiara i concetti che si vuole comunicare agli altri, se non altro per il forte impatto rappresentativo e figurativo che evocano nella mente, e quindi sono facilmente accessibili alla memoria. Quindi, gli elementi che caratterizzano tutte le parabole sono: sintesi, immediatezza e incisività.
Le parabole di Gesù Cristo sono racconti attribuiti a Gesù che si trovano nei Vangeli, sia canonici sia non canonici, e in poche altre fonti antiche. Si tratta del più noto esempio del genere letterario "parabola", peraltro presente anche nell'Antico Testamento: nei Libri sapienziali, nei Libri di Samuele, nel Libro dei Giudici, nel Libro di Isaia, eccetera). Le parabole sono utilizzate da Gesù come esempi per far capire a tutti noi determinati comportamenti che avremmo o non avremmo dovuto assumere in determinate circostanze. Ma al di là del significato morale, Gesù le raccontò come trasparenti allegorie del contrasto tra le aspettative ebraiche di un regno messianico terreno e politico (la venuta del profeta che avrebbe dovuto liberare il popolo ebraico dal dominio dell’Impero romano), e il suo annuncio assolutamente nuovo del Regno dei Cieli.
Il motivo per cui Gesù usava le parabole ce lo indica egli stesso: “I suoi discepoli lo interrogarono sul significato della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perché vedendo non vedano e udendo non intendano.” (Mt 13,10-17; Mc 4,10-12 e Lc 8,9-10).
Le parabole come forma narrativa sono presenti anche nella letteratura rabbinica ali inizi del Cristianesimo. Nella lingua ebraica la parabola è tradotta col termine "esempio".
Per quanto riguarda gli studi sulle parabole, vi sono fondamentalmente due correnti di pensiero: una antica, e un’altra più recente, iniziata più di un secolo fa.
Secondo l’interpretazione antica, la parabola non è altro che un racconto di tipo allegorico: ogni singolo particolare della parabola assume un significato specifico: l' "uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico" è Adamo (ossia l'umanità) e Gerusalemme è la città beata (o paradiso) da cui Adamo decadde a causa del peccato; Gerico è la condizione mortale, perché il termine etimologicamente significa "luna" e la luna nasce, cresce, cala e tramonta. I "briganti" sono il diavolo e i suoi angeli, che "spogliarono" l'uomo, perché lo privarono dell'immortalità; lo "percossero", perché lo indussero al peccato; lo "lasciarono mezzo morto", perché l'uomo conserva ancora una parte di vita nella conoscenza di Dio, ma è gravato per metà dal peccato. Il "sacerdote" e il "levita" che lo videro e passarono oltre significano il sacerdozio e il ministero dell'Antico Testamento che non avevano efficacia per la salvezza. Il samaritano rappresenta il Signore, perché il termine, secondo la sua etimologia ebraica, vuol dire guardiano. Egli fascia le ferite, ossia pone un freno al peccato; usa l'olio, che rappresenta la buona speranza portata dal perdono, e il vino, che rappresenta l'invito ad operare con spirito fervente. La cavalcatura è la carne che assunse nella sua venuta tra noi e il fatto che l'uomo fu “messo sulla cavalcatura" indica la fede nell'incarnazione di Cristo. La locanda è la chiesa; il "giorno dopo" è il tempo successivo alla risurrezione di Cristo e i due denari possono essere o i due comandamenti dell'amore (ama Dio e il prossimo) o le promesse relative a questa vita e a quella futura (cfr. Mt 19,29). Il locandiere è l'apostolo Paolo e "ciò che spende in più" rappresenta il fatto che lavorò personalmente per mantenersi, benché gli fosse lecito vivere del vangelo (cfr. 2 Ts 3,8.9).
Al contrario della visione antica, la ricerca moderna sulle parabole, che è iniziata più di un secolo fa, è partita invece proprio dal rifiuto dell'allegoria. Il promotore del nuovo orientamento fu Adolf Jülicher, con studi che risalgono agli anni 1886-1899, e a cui si sono ispirati, con precisazioni e correzioni importanti che tuttavia mantengono l'impostazione di fondo, Charles Harold Dodd, nel 1935, e, soprattutto, Joachim Jeremias, nel 1947. Più recentemente nella loro linea si è posto anche Vittorio Fusco, che è diventato il maggiore studioso delle parabole, in Italia (3).
Gli studiosi della linea Jülicher-Dodd-Jeremias-Fusco vedono come caratteristica della parabola evangelica la funzione dialogico-argomentativa. Che cosa significa? In sostanza, la parabola è un racconto costruito ad arte per indurre gli ascoltatori a modificare un proprio punto di vista, senza esprimere critiche aperte: è una forma di dialogo perché implica che gli ascoltatori prendano posizione e diano una loro risposta; ha un'impostazione argomentativa perché la storia raccontata è fatta in modo che l'ascoltatore sia portato a immedesimarvisi e ad esprimere un giudizio, che in seguito dovrà riconoscere che lo riguarda direttamente. Quindi dal punto di vista psicologico, la parabola è un ottimo veicolo di comunicazione atta a stimolare dei cambiamenti nel pensiero e nei comportamenti dell’ascoltatore.
Una illustrazione chiara di questa funzione si ha in quella che è definita la parabola dell'Antico Testamento più simile alle parabole del Nuovo Testamento e anche la più tipica delle parabole: la parabola raccontata dal profeta Natan al re Davide in 2 Sam 12,1-7.
La parabola risulta essere un racconto fittizio elaborato per uno scopo preciso, costruito per ottenere un certo effetto: vuole provocare una presa di posizione e un mutamento di opinione in persone, che non si riuscirebbero a convincere in altro modo. L'ascoltatore non è un ascoltatore qualsiasi, ma una persona direttamente coinvolta in un problema, di cui tuttavia non ha piena consapevolezza o su cui ha un'opinione sbagliata e che comunque probabilmente non vorrebbe affrontare spontaneamente in modo sincero. La parabola deve indurlo a prendere coscienza e a pronunciare un giudizio, un giudizio che inciderà sul suo comportamento.
La parabola comporta un'argomentazione, ma non si riduce all'argomentazione e non si appella solo alla ragione: fa leva sull'immedesimazione in una storia, costringe l'ascoltatore ad estraniarsi per un momento dalla propria realtà per entrare in un'altra realtà, uscendo dalla quale non sarà più lo stesso. A ragione la parabola è stata accostata al genere drammatico, teatrale.
La parabola per lo più interviene quando è presente un conflitto, un contrasto di idee, tra qualcuno e il narratore; proprio in una situazione di questo genere una polemica diretta, un attacco esplicito, produrrebbero una radicalizzazione del contrasto, e un arroccamento dell'avversario sulle sue posizioni: la scelta della parabola disarma invece l'avversario, o comunque costituisce come una forma di accerchiamento che impone all'avversario di uscire fuori dalla sua posizione, di adottare un punto di vista diverso, attraverso il quale può guardare più obiettivamente se stesso e riconoscere alla fine, se vorrà, il suo errore. La parabola comporta, dunque, un meccanismo di uscita dalla propria realtà e di entrata in una realtà fittizia, per poi ritornare ancora nella propria realtà, ma con uno sguardo nuovo: è esattamente qui che avviene il processo di cambiamento!
    E' una strategia di tipo non autoritativo, ma maieutico (4). Osserva Fusco (5): "Se Natan avesse investito direttamente Davide chiamandolo prepotente e assassino, l'effetto proprio della parabola non avrebbe avuto luogo: il giudizio sarebbe stato proclamato autoritativamente, non sarebbe scaturito dalla coscienza dello stesso Davide, da una verità della quale lui stesso ha dovuto prendere atto". La parabola inoltre porta l'ascoltatore fino al punto in cui è in grado di pronunciare il giudizio voluto, che è uno solo (Davide non potrebbe assolvere il colpevole e condannare la vittima!), ma poi lo lascia libero nella risposta personale che consisterà in un determinato comportamento, in una decisione pratica. In definitiva, la parabola rimane un discorso aperto, un dialogo in cui l’ultima parola rimane alla fine all'interlocutore che, a questo punto, non può fare altro che aderire convinto all’insegnamento trasmessogli.
Ed ecco che la parabola diventa la Parola, il Verbo incarnato, l’esempio da mettere in pratica vivendolo in prima persona, tutti i giorni!



(1) https://it.wikipedia.org/wiki/Pedagogia

(2) Clemente Alessandrino, Il pedagogo, I, 98, 1.3

(3) Sintesi dalle dispense “Le parabole del vangelo di Luca” di LETTERATURA CRISTIANA ANTICA prof. Clementina Mazzucco a.a. 2009/10; sito web Christianismus – Studi sul cristianesimo ( http://www.christianismus.it ) nella sezione “Download – Dispense universitarie”.

(4) Maieutica: Metodo pedagogico fondato sulla partecipazione attiva del soggetto.
(5) Vittorio Fusco, Oltre la parabola, Introduzione alle parabole di Gesù, Ediz. Borla, 1982 

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