La psicologia della religione si
occupa dello studio e della ricerca sull'atteggiamento religioso in generale,
ed anche delle deviazioni settarie, causa di molti problemi e conflitti
individuali e sociali. In particolare, studia i processi psicologici
interessati alla condotta religiosa: non si interessa di provare l'esistenza di
Dio o di valutare le dottrine delle varie religioni, ma si prefigge di
osservare le caratteristiche dell'atteggiamento religioso, il modo in cui gli
individui e i gruppi sociali manifestano le loro credenze e appartenenze e il
modo peculiare in cui essi vivono la loro esperienza religiosa.
I primi sviluppi della psicologia
della religione coincidono grossomodo con lo sviluppo scientifico della
psicologia in senso generale. Infatti, il fenomeno è stato oggetto di interesse
di studiosi del calibro di Freud fin dagli inizi del ‘900, , Jung, James,
Fromm, Allport, eccetera. Ma si potrebbe fare persino il nome di W. Wundt,
considerato il padre della psicologia, il quale riteneva necessaria la
formulazione di uno specifico approccio culturale in psicologia per lo studio
di fenomeni complessi, quale è appunto il comportamento religioso[1].
La Psicologia della Religione ha
quindi una lunga storia che, benché poco nota, rivela quanto nel corso del
tempo gli psicologi si siano interrogati circa l’impatto del fenomeno religioso
sul comportamento del soggetto.
Gli studi evidenziano che da sempre il
sentimento religioso è una caratteristica che contraddistingue l’essere umano,
di tutti i tempi e di tutte le culture, dagli animali. Il fenomeno riguarda
persone di tutti i ceti sociali, di diverso livello culturale, di tutte le età
e non fa distinzione di aree geografiche. Un dato di fatto ormai acquisito
dagli psicologi della religione è che l'esperienza religiosa rappresenta un
fattore importante tra i dinamismi che motivano l'individuo ad agire e che, in
quanto tale, può influire positivamente o negativamente sull'equilibrio
psicologico della persona, nel senso che può favorire o limitarne il benessere
psicologico. E. Fromm, uno dei più prolifici autori in materia, distingueva la
religione autoritaria da quella umanistica[2].
La religione autoritaria è
quella che si fonda sul controllo esercitato sulle persone da un potere più
alto, al di fuori dell’uomo. Questo potere richiede obbedienza e devozione
assoluta. In questa forma di religiosità l’uomo è visto sempre come
"difettoso" e il suo rapporto con il divino ha lo scopo di fargli
superare le proprie meschinità. La religione umanistica è invece centrata
sull’uomo, in essa egli può trovare quelle risorse adatte a comprendere meglio
se stesso e le sue relazioni con il mondo esterno nei confronti del quale è
spinto a mettere a frutto la sua capacità di amare e di essere solidale. In
questo senso l’esperienza religiosa può diventare esperienza di unità con il
Tutto: la virtù da esercitare non è l’obbedienza ma l'auto-realizzazione. Il
sentimento prevalente di chi vive questa forma di religiosità è la gioia, non
il senso di colpa e il dolore.
Anche se questa distinzione sommaria non rende giustizia alla complessità del problema e la posizione di Fromm può essere non del tutto condivisa, essa tuttavia fornisce uno spunto di riflessione utile per individuare quali potrebbero essere le caratteristiche generali di una esperienza religiosa sana.
Anche se questa distinzione sommaria non rende giustizia alla complessità del problema e la posizione di Fromm può essere non del tutto condivisa, essa tuttavia fornisce uno spunto di riflessione utile per individuare quali potrebbero essere le caratteristiche generali di una esperienza religiosa sana.
Abbiamo sopra detto che il sentimento
religioso può anche assumere derive negative per l’individuo[3]. Per esempio, se alla persona viene vietato o
impedito di manifestare le sue opinioni o di dissentire con la leadership,
allora il senso critico e le capacità razionali individuali vengono mortificate
o represse. Un simile atteggiamento potrebbe portare la persona a sviluppare
una serie di meccanismi di difesa inconsapevoli per auto-censurarsi quando
qualche dubbio si affacciasse alla coscienza. E se tutto questo si protrae nel
tempo potrebbero insorgere disturbi psicologici di varia gravità.
Nell’ambito di un rapporto sano,
invece, il leader carismatico o la guida spirituale si sentono e si comportano
semplicemente come mediatori e testimoni di un amore più grande di loro. Essi,
in questo caso, accettano il loro limite e non si impongono ai loro seguaci
come una specie di esseri eletti superiori, dotati di poteri sovrumani. La
relazione carismatica si configura in questi casi come relazione liberante e
rispettosa della libertà individuale, coinvolgente emotivamente ma non
invadente o, peggio, oppressiva. Essa contribuisce alla crescita integrale
della persona fornendole anche il supporto emotivo e cognitivo per affrontare e
superare le difficoltà quotidiane in una prospettiva e in un orizzonte
trascendente che si proietta aldilà del vivere e, così facendo, gli attribuisce
un senso.
La dimensione religiosa autentica non distrugge, infatti, la libertà umana, ma prescrive dei limiti e richiede l’osservanza di un codice morale, a vantaggio di tutti.
La dimensione religiosa autentica non distrugge, infatti, la libertà umana, ma prescrive dei limiti e richiede l’osservanza di un codice morale, a vantaggio di tutti.
L’abuso che della religione hanno
fatto alcuni leader spirituali, ha avuto come conseguenza una disaffezione ed
una generale diffidenza della gente verso la religione ed i leaders spirituali,
rafforzando l’opinione comune sulla fede religiosa, vista come una forma di
superstizione, o comunque uno strumento di potere nelle mani di uomini senza
scrupoli: il bisogno di dare un senso alla sofferenza, alla morte, al male e
alla propria esistenza è insito nell’uomo e lo spinge a trovare le possibili
risposte nella filosofia o nella religione. È questo bisogno umano che muove
tante persone ad iniziare una faticosa e sincera ricerca di una spiritualità
autentica. E’ comunque innegabile che, come tutti gli altri sentimenti che
motivano l’essere umano, anche il sentimento religioso presenta una sua
dualità: ad esempio, a quelle persone che, in nome di una religione, si fanno
saltare in aria, oppure che obbediscono ciecamente ad un leader senza scrupoli
che li ha plagiati.
In ogni caso, se la fede religiosa
potesse essere confezionata in una pillola, sarebbe un ottimo medicinale contro
molti disturbi cardio circolatori o associati allo stress: il rispetto di
regole cardinali , dai dieci comandamenti a altre simili, aiuta le persone ad
avere un comportamento interpersonale più rispettoso di sé, degli altri, dei
rapporti familiari, con minore stress emotivo e maggiore capacità di mediazione
e di perdono (è noto che lo stress prolungato a lungo fa ammalare anche
il fisico).
Il sentimento religioso, quando
profondamente vissuto, dà un’altra visione della caducità delle cose e della
vita umana. Riduce l’urgenza, e l’ossessione, degli obiettivi terreni – denaro,
bellezza, status, potere – pur incoraggiando a una vita attiva e operosa.
Le attività individuali si finalizzano
a far star bene gli altri – la famiglia e il prossimo – con maggiore accento
sul “noi” invece che sull’io”. La calma interiore nell’“affidarsi a Dio” nelle
difficoltà della vita è un potentissimo scudo contro i danni da stress e contro
la disperazione (proprio nel senso di “perdita di speranza”). La fede ha uno
straordinario potere di conforto, di consolazione, di sollievo. Aiuta a dare un
senso agli eventi (“Sia fatta la volontà di Dio”) in cui, con umiltà, la
persona cerca di accettare l’altrimenti inspiegabile pesantezza e, a volte,
atrocità della sofferenza e della cattiveria umana.
L'appartenenza ad una comunità dei
fedeli ha un ruolo prezioso nella rete di supporto sociale: soprattutto quando
la malattia, un lutto, la povertà o la morte bussano alla porta del singolo,
che in una comunità aggregata dalla fede è infinitamente meno solo che non in
un mondo laico.
Il bisogno di attaccamento affettivo,
essenziale in ciascuno di noi, è infatti molto più appagato all’interno di una
comunità spirituale, se la fede è autentica e profonda. Chi ha una fede
convinta e la pratica con coerenza va incontro a numerosi benefici
psico-fisici: la preghiera condivisa, il canto, la ritualità sono potenti
calmanti dei tumulti del cuore. La meditazione e il raccoglimento interiore che
accompagnano una fede sostanziale, e non di facciata, sono ulteriori
sincronizzatori di salute. Questo è stato ben dimostrato in altre pratiche non
religiose, dallo yoga alla mindfulness, che aiutano a coltivare spiritualità e
interiorità, con la differenza che la pratica religiosa, quando è sentita, ha
più probabilità di durare tutta la vita, potenziando l’effetto protettivo.
Chi pratica una vita religiosa
presenta anche stili di vita più sani rispetto agli altri: uso di alcol, fumo,
droghe sono significativamente minori. Il cibo può avere una dimensione più
funzionale alla convivialità familiare, alla gioia di condividere un pranzo
preparato con amore, che non al compenso di frustrazioni affettive ed emotive.
La sobrietà nei comportamenti è più probabile ed è molto autoprotettiva dal
punto di vista fisico, oltre che psicologico, perché riduce nettamente i rischi
sul fronte della salute e aiuta a mantenere un equilibrio anche comportamentale
(il non lasciarsi andare) nelle tempeste della vita. Comportamenti più virtuosi
e attenzione all’interiorità si traducono in cambiamenti fisici misurabili,
scientificamente documentati: la riduzione dello stress biologico abbassa l’adrenalina,
il cortisolo e l’infiammazione ad essi associata. Le evidenze scientifiche
concordano: è l’infiammazione cronica, non più finalizzata a rinnovare i
tessuti e a superare danni intercorrenti, il denominatore comune di malattie
cardiovascolari, tumori e malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer o il
Parkinson[4];
ridurre l’infiammazione nel corpo e nel cervello è possibile innanzitutto con
stili di vita sani e meno stress: ecco perché una fede ben vissuta, o
ritrovata, può essere un grande sincronizzatore di salute. Il cantare insieme
con fede, il pregare, il meditare attivano il sistema nervoso parasimpatico, e
disattivano il sistema simpatico. Quest’ultimo si attiva quando siamo stressati. In tal modo si abbassa la
pressione arteriosa, si riduce la frequenza dei battiti, si regolarizza il
ritmo cardiaco), si regolarizza il respiro, la digestione, migliora la qualità
del sonno, si sciolgono le tensioni muscolari, e migliorano le difese
immunitarie e la sessualità.
In definitiva, la fede e la pratica
religiosa svolta con regolarità ci aiuta a vivere meglio e più in salute.
Crescenti evidenze scientifiche ci
dicono quindi che una fede sincera e ben vissuta può essere non un oppio, ma
semmai una raffinata medicina, la medicina del corpo e dell’anima.
La religione, non solo la
spiritualità, è un indice affidabile predittivo della salute: le pratiche
spirituali possono ridurre la pressione sanguigna, rafforzare il sistema
immunitario e aiutare a prevenire alcuni effetti della malattia mentale e molti
altri farmaci sul mercato.
Comunque si scelga un modo attraverso
cui vivere la propria religiosità, il fatto certo è che frequentare i luoghi di
culto aiuta a vivere più a lungo. Lo affermano i ricercatori della Emory
Rollins School of Public Health[5]
che hanno reclutato 18.370 statunitensi di età pari o superiore ai 50 anni,
intervistati nel 2004 e seguiti fino al 2014, scoprendo così che chi aveva
frequentato funzioni religiose almeno una volta a settimana aveva un rischio di
mortalità inferiore del 40% rispetto a chi non vi aveva mai partecipato.
I frequentatori più assidui
avevano infatti meno probabilità di fumare o bere alcolici, erano più disposti
a effettuare screening sanitari e a fare attività fisica. Non c’erano invece
differenze per il tipo di religione seguita. ”La religiosità attiva è un marker
che caratterizza una popolazione che ha minor rischio di morte, in virtù di un
insieme di fattori protettivi, come migliori stili di vita e maggiore
propensione alle relazioni sociali”, spiega all’ANSA Raffaele Antonelli[6],
professore di professore di Medicina interna e geriatria presso l’Università
Campus Biomedico di Roma e, dal primo gennaio 2018, presidente della Società
Italiana di Geriatria e Gerontologia . “Lo spirito religioso – prosegue – si associa
in genere ad un’attitudine mentale positiva, che ‘protegge’ da malattie che si
associano a personalità poco duttili, come ictus o colite ulcerosa. Ed è infine
documentato che la religiosità protegge dalla depressione, notoriamente a sua
volta associata a malattia e morte”.
La fede incoraggia il comportamento
sano e favorisce l’aggregazione dell’individuo, inserendolo all’interno di un
gruppo col quale condividere le proprie esperienze di vita, e quindi, aiuta le
persone a non sentirsi sole ed isolate dal resto del mondo.
La fede riduce lo stress. Lo stress ha
un effetto negativo diretto sul sistema immunitario, riducendo la capacità
delle cellule di attaccare la malattia all'interno del corpo. Gli studi hanno
dimostrato che la religione riduce lo stress in diversi modi. La preghiera,
in particolare, può ridurre l'ipertensione. Le ansie e gli stress
della vita moderna tendono a fornire stimoli dannosi per il sistema
cardiocircolatorio, provocando reazioni eccessive agli stimoli esterni. In questi
casi, la preghiera, l'adorazione e altre attività spirituali possono bilanciare
questa risposta allo stress, favorendo una risposta di rilassamento del corpo.
Inoltre, le persone che sono religiose tendono a pensare in modi sani. La fede dà alle persone un senso di significato e uno scopo nella vita, che è collegato a una salute migliore. Il cervello controlla ogni aspetto del nostro corpo, quindi il modo in cui pensiamo influisce su come funziona il nostro corpo. In modo simile, le persone religiose tendono ad essere colpite meno dalla depressione. Certamente, i veri cristiani pieni di fede soffrono ancora di depressione e altre forme di malattia mentale.
Inoltre, le persone che sono religiose tendono a pensare in modi sani. La fede dà alle persone un senso di significato e uno scopo nella vita, che è collegato a una salute migliore. Il cervello controlla ogni aspetto del nostro corpo, quindi il modo in cui pensiamo influisce su come funziona il nostro corpo. In modo simile, le persone religiose tendono ad essere colpite meno dalla depressione. Certamente, i veri cristiani pieni di fede soffrono ancora di depressione e altre forme di malattia mentale.
Ma mentre la fede non è certamente una
cura per qualsiasi malattia mentale, sembra offrire un ulteriore protezione
contro i suoi effetti peggiori. In particolare la vita in comunità migliora la
salute emotiva.
Sono una rete vitale che sostiene la
nostra salute attraverso relazioni ricche che migliorano il benessere
psicologico ed emotivo.
In passato ho scritto sui benefici
derivanti dall’avere amici[7].
Avere amici religiosi è ancora meglio: infatti, uno studio ha scoperto che
"l'appartenenza alla Chiesa era l'unico tipo di coinvolgimento sociale che
prevedeva una maggiore soddisfazione e felicità nella vita", secondo
Harold Koenig[8], direttore del Center for Spirituality
della Duke University.
La fede ti rende più sano fornendoti una comunità più disponibile ad aiutarti quando la vita è difficile. I cristiani hanno creato i primi ospedali al mondo e l'assistenza sanitaria professionale è stata a lungo essenziale per le missioni e il ministero per i poveri. Inoltre, secondo il sociologo Christian Smith, le persone che offrono il loro aiuto agli altri, che sia morale o materiale, hanno mediamente più di probabilità di essere molto felici della propria vita.
La fede ti rende più sano fornendoti una comunità più disponibile ad aiutarti quando la vita è difficile. I cristiani hanno creato i primi ospedali al mondo e l'assistenza sanitaria professionale è stata a lungo essenziale per le missioni e il ministero per i poveri. Inoltre, secondo il sociologo Christian Smith, le persone che offrono il loro aiuto agli altri, che sia morale o materiale, hanno mediamente più di probabilità di essere molto felici della propria vita.
Enorme importanza rivestono anche le
convinzioni intorno alla fede. Molte persone credono che la preghiera possa
guarire le persone da ferite o malattie. Inoltre, alcuni medici, di fronte a
guarigioni non spiegabili razionalmente, ha affermato di credere nelle
guarigioni miracolose.
In Brasile, più cristiani pentecostali
affermano di aver sperimentato la guarigione piuttosto che aver parlato in
lingue. Sia attraverso la preghiera, l'imposizione delle mani, o qualche altro
intervento miracoloso, coloro che sostengono la fede possono trovare nella
religione la salute per il corpo e l'anima[9].
In ambito scientifico, si afferma che
le guarigioni miracolose sono in realtà un segno di un "effetto
placebo" in cui la fede cristiana motiva il corpo a una guarigione più
rapida, e, è vero, molti studi hanno mostrato una correlazione positiva tra
prospettiva ottimistica e recupero effettivo.
Se non altro, nei casi in cui la fede
non porta alla guarigione, può invece predisporre la persona ad accettare la
malattia e le inevitabili conseguenze.
Nel corso del 2012 alcuni ricercatori
hanno raccolto in un volume numerosi esperimenti e ricerche svolti negli anni
precedenti, e volti a studiare la correlazione tra religione e benessere[10].
Il materiale raccolto
dimostra chiaramente una correlazione positiva tra religione/spiritualità e
salute mentale e fisica.
Il manuale elenca
dettagliatamente e puntigliosamente gli effetti della religione e della
spiritualità nei vari ambiti della salute che, da definizione
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, va intesa come benessere fisico,
psichico e sociale.
La pubblicazione mostra
come la religione sia correlata a maggiore estroversione e apertura a nuove
esperienze, cordialità, cooperazione, altruismo, compassione, propensione al
perdono, locus of control interno (assumersi meriti e colpe per le proprie
azioni), autostima, ottimismo, speranza, ricerca di uno scopo nella vita,
impegno e desiderio di vivere, crescita post-traumatica, serenità. Inoltre, il
credente presenta mediamente minore ansia, stress, depressione, rabbia,
ostilità, sensazione di solitudine e propensione al suicidio.
Dal punto di vista fisico,
la religione produce effetti positivi, sulla base di fattori correlati come la
migliore salute mentale (meno stress e difese immunitarie più
efficaci) e lo stile di vita più sano e regolato. Gli effetti
positivi riguardano principalmente casi di disturbi di cuore, colesterolo,
pressione sanguigna, diabete, ictus, malattie veneree, cancro, percezione del
dolore e gestione della disabilità.
La religione è correlata
anche ad una migliore longevità: le persone credenti, secondo gli studi,
avrebbero il 37% di possibilità in più di essere ancora vive al momento di un
riesame successivo (follow-up). Inoltre, la religione aumenta la
complicità medica, ossia l'apertura del paziente verso il medico e la fiducia
nel seguire indicazioni e cure.
Dal punto di
vista sociale, le persone credenti hanno migliori risultati
scolastici, maggiore stabilità lavorativa e coniugale, elemento importante per
i benessere di sposi e figli, minore incidenza al crimine. Per quanto
riguarda gli aspetti medici, la religione è correlata a una maggiore
attenzione allo screening preventivo. Infatti, le chiese e i luoghi di culto
costituiscono, spesso, importante luogo di informazione e prevenzione.
Un dato che interessa
l’attività dell’Agenzia Capitolina sulle Tossicodipendenze è quello sulla
relazione tra credo religioso ed uso di droghe. Gli studi mostrano come
la religione possa essere un deterrente all’uso di sostanze. La religione può
avere anche un significativo ed efficace impatto in un eventuale riabilitazione
e recupero della persona tossicodipendente. Su 278 studi relativi all’uso di
alcol, l’86% indica una relazione inversa con la religiosità, ovvero una minore
propensione all’utilizzo di alcolici, in persone che professano una fede o
coltivano una propria spiritualità. Quanto all'uso di droghe, 155 studi su 185
(l’84%) hanno riscontrato un minore utilizzo di sostanze, tra le persone
credenti.
In definitiva, gli studi
mostrano come la religiosità delle persone sia collegata a un migliore
benessere fisico, psichico e sociale. La fede religiosa produce effetti
positivi sulla salute e migliora la qualità della vita, basata su comportamenti
salutari e stili di vita sani.
La pratica della preghiera favorisce
inoltre il raggiungimento della percezione che le cose abbiano un senso
unitario. E’ il cuore spirituale dell’esperienza religiosa, il momento in cui
si nella mente si apre lo spiraglio della trascendenza.
In un articolo
scientifico scritto in anni recenti dalla psicologa M.B. Toro[11] si evidenzia la minore vulnerabilità alla
depressione delle persone religiose, ed il conseguente aumento di benessere
psico-fisico. In definitiva, il credente è capace di sviluppare un efficace
contrasto del sentimento di disperazione ed ha una buona capacità di
riconoscere i momenti in cui si ha bisogno di aiuto, e quindi di riceverlo. I
credenti hanno inoltre un maggiore sentimento di fiducia nel poter ricevere
aiuto. La cosiddetta “inaiutabilità”, una percezione che è caratteristica di
chi tende a sviluppare disturbi depressivi, viene mitigata, nei credenti, dal
messaggio che si può fidarsi e che quando si è in difficoltà si può chiedere,
con la preghiera, ma anche con il ricorso agli altri.
Una caratteristica notoriamente
conosciuta che distingue i credenti è la loro capacità di autodisciplina.
Sostenuti dalla fede, mettono grande impegno ed energia nel perseguire
obiettivi, percepiti come fondamentali, o, ancora meglio, come sacri. Il che fa
dei credenti persone molto determinate nella vita. Inoltre, sono costantemente
accompagnati da un senso di speranza e fiducia, tipico di chi dà una
prospettiva positiva e un senso alle cose. È una sorta di “nutrimento
spirituale”, che, nella maggior parte dei casi, può migliorare l’affettività,
innalzare l’autostima e promuovere atteggiamenti costruttivi.
Da quanto finora detto sembrerebbe che
la fede abbia la capacità di attivare nell’individuo degli stati di
autosuggestione che lo portano ad un miglioramento psico-fisico generale.
Invece non è così: alcune ricerche, effettuate con l’ausilio di apparecchiature
biomediche di risonanza cerebrale, hanno evidenziato che la fede e la preghiera
comportano modalità di attivazione cerebrali molto diverse dalle attivazioni
che si osservano nei fenomeni di suggestione, che passano per altre vie neurali
e altri sistemi psicofisiologici. Gli effetti, che oggi si sa essere benefici,
della preghiera e della meditazione vanno distinti da quelli del
rilassamento, delle pratiche suggestive e ipnotiche, dell’effetto placebo.
Nell’effetto placebo, infatti, i meccanismi neurofisiologici che sono attivi
nei soggetti altamente suggestionabili non risultano sovrapponibili a fenomeni
osservati nei credenti. I meccanismi della suggestione coinvolgono, anche qui,
aree specifiche del cervello, che hanno a che fare con i cosiddetti “sistemi
del reward”, quei circuiti neurali situati all'interno del circuito
corteccia-gangli basali-talamo, che si attivano in base a quanto un’attività
sia gratificante. In particolare, una serie di studi ha approfondito il
meccanismo psicofisico indotto nel paziente in seguito alla somministrazione di
sostanze che non hanno nessuna reale proprietà farmacologica, ma che in molti
casi dimostrati riesce ad alleviare un dolore o addirittura a migliorare lo
stato fisico. Secondo la definizione di Shapiro: «Placebo è ogni procedura
deliberatamente attuata per ottenere un effetto o che, anche senza che se ne
abbia nozione, svolge un’azione sul paziente o sul sintomo o sulla malattia, ma
che oggettivamente è priva di ogni attività specifica nei confronti della
condizione oggetto di trattamento. Tale procedura può essere attuata con o
senza consapevolezza che si tratti di un placebo». Si tratta di un fenomeno che
ha molto a che fare con la suggestione, ma ha caratteristiche peculiari che lo
distinguono dagli altri tipi di suggestione, quali l’ipnosi e l’autoipnosi. Una
ricerca condotta dai di neurologi del Department of Psychiatry and Molecular
and Behavioral Neuroscience Institute dell’Università del Michigan, coordinati
da Jon Kar Zubieta[12],
ha individuato, in particolare, un settore del sistema limbico, il Nucleus
Accumbens che viene potentemente coinvolto quando si attiva l’effetto
placebo. Questo nucleo e il sistema endorfinico della dopamina intervengono,
infatti, quando ci si aspetta di ricevere un aiuto e influenzano la risposta
alle cure mediche.
Lo studio conclude che la pratica
religiosa attiva meccanismi cerebrali differenti da quelli interessati
dall'effetto placebo. Quindi, sovrapporre l’effetto placebo ai fenomeni legati
alla fede, al di là della propria personale posizione sull’argomento, sarebbe,
comunque, un errore scientifico abbastanza grossolano.
[1] Cfr. Belzen, 2006
[2] E. Fromm, Psicanalisi e religione,
Edizioni di Comunità, 1980
[3] A. Longatti, R. Mattioli, G. Rossi,
Attaccamento, fondamentalismo religioso e autoritarismo: confronto tra gruppi
cristiani, in (a cura di G. Rossi, M: Aletti), Psicologia della religione e
teoria dell’attaccamento, Aracne editrice S.r..l., 2009, pag. 59
[4] A. Graziottin, Spiritualità e salute:
le ragioni medico-scientifiche, dalla parte del corpo, Ed. San Paolo, 2016
[5] Joanna M. Jungerman
B.A., Qualitative Perspectives on Spirituality and Mental Well-Being, Emory
University, 2013
[6] http://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/salute_65plus/medicina/2018/01/09/religione-aiuta-a-vivere-piu-a-lungola-scienza-lo-conferma_cb5a7fac-9d06-488a-ae39-96f255fb159f.html
[7] Cifelli S., La capacita di avere
amici, ibidem, Roma luglio 2014
[9] M. Bontempi e A. Maturo (a cura di),
Salute e e Salvezza, Francoangeli, 2010
[10] Harold Koenig, Dana King, Verna
B. Carson, Handbook of Religion and Health, seconda ediz., 2012
[11] M. B. Toro, La fede e il
benessere psicofisico: distinzioni dall’effetto placebo, 2012
[12] Scott et al., Neuron 55,
Individual Differences in Reward Responding Explain Placebo-Induced
Expectations and Effects, pp. 325–336, 19 luglio 2007
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