venerdì 2 febbraio 2018

Spiritualità e psicologia: due mondi inconciliabili? (Un contributo alla psicologia della religione) - di Stefano Cifelli


La psicologia della religione si occupa dello studio e della ricerca sull'atteggiamento religioso in generale, ed anche delle deviazioni settarie, causa di molti problemi e conflitti individuali e sociali. In particolare, studia i processi psicologici interessati alla condotta religiosa: non si interessa di provare l'esistenza di Dio o di valutare le dottrine delle varie religioni, ma si prefigge di osservare le caratteristiche dell'atteggiamento religioso, il modo in cui gli individui e i gruppi sociali manifestano le loro credenze e appartenenze e il modo peculiare in cui essi vivono la loro esperienza religiosa. 

I primi sviluppi della psicologia della religione coincidono grossomodo con lo sviluppo scientifico della psicologia in senso generale. Infatti, il fenomeno è stato oggetto di interesse di studiosi del calibro di Freud fin dagli inizi del ‘900, , Jung, James, Fromm, Allport, eccetera. Ma si potrebbe fare persino il nome di W. Wundt, considerato il padre della psicologia, il quale riteneva necessaria la formulazione di uno specifico approccio culturale in psicologia per lo studio di fenomeni complessi, quale è appunto il comportamento religioso[1].
La Psicologia della Religione ha quindi una lunga storia che, benché poco nota, rivela quanto nel corso del tempo gli psicologi si siano interrogati circa l’impatto del fenomeno religioso sul comportamento del soggetto.
Gli studi evidenziano che da sempre il sentimento religioso è una caratteristica che contraddistingue l’essere umano, di tutti i tempi e di tutte le culture, dagli animali. Il fenomeno riguarda persone di tutti i ceti sociali, di diverso livello culturale, di tutte le età e non fa distinzione di aree geografiche. Un dato di fatto ormai acquisito dagli psicologi della religione è che l'esperienza religiosa rappresenta un fattore importante tra i dinamismi che motivano l'individuo ad agire e che, in quanto tale, può influire positivamente o negativamente sull'equilibrio psicologico della persona, nel senso che può favorire o limitarne il benessere psicologico. E. Fromm, uno dei più prolifici autori in materia, distingueva la religione autoritaria da quella umanistica[2].
 La religione autoritaria è quella che si fonda sul controllo esercitato sulle persone da un potere più alto, al di fuori dell’uomo. Questo potere richiede obbedienza e devozione assoluta. In questa forma di religiosità l’uomo è visto sempre come "difettoso" e il suo rapporto con il divino ha lo scopo di fargli superare le proprie meschinità. La religione umanistica è invece centrata sull’uomo, in essa egli può trovare quelle risorse adatte a comprendere meglio se stesso e le sue relazioni con il mondo esterno nei confronti del quale è spinto a mettere a frutto la sua capacità di amare e di essere solidale. In questo senso l’esperienza religiosa può diventare esperienza di unità con il Tutto: la virtù da esercitare non è l’obbedienza ma l'auto-realizzazione. Il sentimento prevalente di chi vive questa forma di religiosità è la gioia, non il senso di colpa e il dolore.
Anche se questa distinzione sommaria non rende giustizia alla complessità del problema e la posizione di Fromm può essere non del tutto condivisa, essa tuttavia fornisce uno spunto di riflessione utile per individuare quali potrebbero essere le caratteristiche generali di una esperienza religiosa sana.
Abbiamo sopra detto che il sentimento religioso può anche assumere derive negative per l’individuo[3].  Per esempio, se alla persona viene vietato o impedito di manifestare le sue opinioni o di dissentire con la leadership, allora il senso critico e le capacità razionali individuali vengono mortificate o represse. Un simile atteggiamento potrebbe portare la persona a sviluppare una serie di meccanismi di difesa inconsapevoli per auto-censurarsi quando qualche dubbio si affacciasse alla coscienza. E se tutto questo si protrae nel tempo potrebbero insorgere disturbi psicologici di varia gravità.
Nell’ambito di un rapporto sano, invece, il leader carismatico o la guida spirituale si sentono e si comportano semplicemente come mediatori e testimoni di un amore più grande di loro. Essi, in questo caso, accettano il loro limite e non si impongono ai loro seguaci come una specie di esseri eletti superiori, dotati di poteri sovrumani. La relazione carismatica si configura in questi casi come relazione liberante e rispettosa della libertà individuale, coinvolgente emotivamente ma non invadente o, peggio, oppressiva. Essa contribuisce alla crescita integrale della persona fornendole anche il supporto emotivo e cognitivo per affrontare e superare le difficoltà quotidiane in una prospettiva e in un orizzonte trascendente che si proietta aldilà del vivere e, così facendo, gli attribuisce un senso.
La dimensione religiosa autentica non distrugge, infatti, la libertà umana, ma prescrive dei limiti e richiede l’osservanza di un codice morale, a vantaggio di tutti.  
L’abuso che della religione hanno fatto alcuni leader spirituali, ha avuto come conseguenza una disaffezione ed una generale diffidenza della gente verso la religione ed i leaders spirituali, rafforzando l’opinione comune sulla fede religiosa, vista come una forma di superstizione, o comunque uno strumento di potere nelle mani di uomini senza scrupoli: il bisogno di dare un senso alla sofferenza, alla morte, al male e alla propria esistenza è insito nell’uomo e lo spinge a trovare le possibili risposte nella filosofia o nella religione. È questo bisogno umano che muove tante persone ad iniziare una faticosa e sincera ricerca di una spiritualità autentica. E’ comunque innegabile che, come tutti gli altri sentimenti che motivano l’essere umano, anche il sentimento religioso presenta una sua dualità: ad esempio, a quelle persone che, in nome di una religione, si fanno saltare in aria, oppure che obbediscono ciecamente ad un leader senza scrupoli che li ha plagiati.
In ogni caso, se la fede religiosa potesse essere confezionata in una pillola, sarebbe un ottimo medicinale contro molti disturbi cardio circolatori o associati allo stress: il rispetto di regole cardinali , dai dieci comandamenti a altre simili, aiuta le persone ad avere un comportamento interpersonale più rispettoso di sé, degli altri, dei rapporti familiari, con minore stress emotivo e maggiore capacità di mediazione e di perdono (è noto che lo stress prolungato a lungo  fa ammalare anche il fisico).
Il sentimento religioso, quando profondamente vissuto, dà un’altra visione della caducità delle cose e della vita umana. Riduce l’urgenza, e l’ossessione, degli obiettivi terreni – denaro, bellezza, status, potere – pur incoraggiando a una vita attiva e operosa. 
Le attività individuali si finalizzano a far star bene gli altri – la famiglia e il prossimo – con maggiore accento sul “noi” invece che sull’io”. La calma interiore nell’“affidarsi a Dio” nelle difficoltà della vita è un potentissimo scudo contro i danni da stress e contro la disperazione (proprio nel senso di “perdita di speranza”). La fede ha uno straordinario potere di conforto, di consolazione, di sollievo. Aiuta a dare un senso agli eventi (“Sia fatta la volontà di Dio”) in cui, con umiltà, la persona cerca di accettare l’altrimenti inspiegabile pesantezza e, a volte, atrocità della sofferenza e della cattiveria umana.
L'appartenenza ad una comunità dei fedeli ha un ruolo prezioso nella rete di supporto sociale: soprattutto quando la malattia, un lutto, la povertà o la morte bussano alla porta del singolo, che in una comunità aggregata dalla fede è infinitamente meno solo che non in un mondo laico. 
Il bisogno di attaccamento affettivo, essenziale in ciascuno di noi, è infatti molto più appagato all’interno di una comunità spirituale, se la fede è autentica e profonda. Chi ha una fede convinta e la pratica con coerenza va incontro a numerosi benefici psico-fisici: la preghiera condivisa, il canto, la ritualità sono potenti calmanti dei tumulti del cuore. La meditazione e il raccoglimento interiore che accompagnano una fede sostanziale, e non di facciata, sono ulteriori sincronizzatori di salute. Questo è stato ben dimostrato in altre pratiche non religiose, dallo yoga alla mindfulness, che aiutano a coltivare spiritualità e interiorità, con la differenza che la pratica religiosa, quando è sentita, ha più probabilità di durare tutta la vita, potenziando l’effetto protettivo.
Chi pratica una vita religiosa presenta anche stili di vita più sani rispetto agli altri: uso di alcol, fumo, droghe sono significativamente minori. Il cibo può avere una dimensione più funzionale alla convivialità familiare, alla gioia di condividere un pranzo preparato con amore, che non al compenso di frustrazioni affettive ed emotive. La sobrietà nei comportamenti è più probabile ed è molto autoprotettiva dal punto di vista fisico, oltre che psicologico, perché riduce nettamente i rischi sul fronte della salute e aiuta a mantenere un equilibrio anche comportamentale (il non lasciarsi andare) nelle tempeste della vita. Comportamenti più virtuosi e attenzione all’interiorità si traducono in cambiamenti fisici misurabili, scientificamente documentati: la riduzione dello stress biologico abbassa l’adrenalina, il cortisolo e l’infiammazione ad essi associata. Le evidenze scientifiche concordano: è l’infiammazione cronica, non più finalizzata a rinnovare i tessuti e a superare danni intercorrenti, il denominatore comune di malattie cardiovascolari, tumori e malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer o il Parkinson[4]; ridurre l’infiammazione nel corpo e nel cervello è possibile innanzitutto con stili di vita sani e meno stress: ecco perché una fede ben vissuta, o ritrovata, può essere un grande sincronizzatore di salute. Il cantare insieme con fede, il pregare, il meditare attivano il sistema nervoso parasimpatico, e disattivano il sistema simpatico. Quest’ultimo si attiva quando siamo  stressati. In tal modo si abbassa la pressione arteriosa, si riduce la frequenza dei battiti, si regolarizza il ritmo cardiaco), si regolarizza il respiro, la digestione, migliora la qualità del sonno, si sciolgono le tensioni muscolari, e migliorano le difese immunitarie e la sessualità.
In definitiva, la fede e la pratica religiosa svolta con regolarità ci aiuta a vivere meglio e più in salute.
Crescenti evidenze scientifiche ci dicono quindi che una fede sincera e ben vissuta può essere non un oppio, ma semmai una raffinata medicina, la medicina del corpo e dell’anima.
La religione, non solo la spiritualità, è un indice affidabile  predittivo della salute: le pratiche spirituali possono ridurre la pressione sanguigna, rafforzare il sistema immunitario e aiutare a prevenire alcuni effetti della malattia mentale e molti altri farmaci sul mercato.
Comunque si scelga un modo attraverso cui vivere la propria religiosità, il fatto certo è che frequentare i luoghi di culto aiuta a vivere più a lungo. Lo affermano i ricercatori della Emory Rollins School of Public Health[5] che hanno reclutato 18.370 statunitensi di età pari o superiore ai 50 anni, intervistati nel 2004 e seguiti fino al 2014, scoprendo così che chi aveva frequentato funzioni religiose almeno una volta a settimana aveva un rischio di mortalità inferiore del 40% rispetto a chi non vi aveva mai partecipato.
 I frequentatori più assidui avevano infatti meno probabilità di fumare o bere alcolici, erano più disposti a effettuare screening sanitari e a fare attività fisica. Non c’erano invece differenze per il tipo di religione seguita. ”La religiosità attiva è un marker che caratterizza una popolazione che ha minor rischio di morte, in virtù di un insieme di fattori protettivi, come migliori stili di vita e maggiore propensione alle relazioni sociali”, spiega all’ANSA Raffaele Antonelli[6], professore di professore di Medicina interna e geriatria presso l’Università Campus Biomedico di Roma e, dal primo gennaio 2018, presidente della Società Italiana di Geriatria e Gerontologia . “Lo spirito religioso – prosegue – si associa in genere ad un’attitudine mentale positiva, che ‘protegge’ da malattie che si associano a personalità poco duttili, come ictus o colite ulcerosa. Ed è infine documentato che la religiosità protegge dalla depressione, notoriamente a sua volta associata a malattia e morte”.
La fede incoraggia il comportamento sano e favorisce l’aggregazione dell’individuo, inserendolo all’interno di un gruppo col quale condividere le proprie esperienze di vita, e quindi, aiuta le persone a non sentirsi sole ed isolate dal resto del mondo.
La fede riduce lo stress. Lo stress ha un effetto negativo diretto sul sistema immunitario, riducendo la capacità delle cellule di attaccare la malattia all'interno del corpo. Gli studi hanno dimostrato che la religione riduce lo stress in diversi modi. La preghiera,  in particolare,  può ridurre l'ipertensione. Le ansie e gli stress della vita moderna tendono a fornire stimoli dannosi per il sistema cardiocircolatorio, provocando reazioni eccessive agli stimoli esterni. In questi casi, la preghiera, l'adorazione e altre attività spirituali possono bilanciare questa risposta allo stress, favorendo una risposta di rilassamento del corpo.
Inoltre, le persone che sono religiose tendono a pensare in modi sani. La fede dà alle persone un senso di significato e uno scopo nella vita, che è collegato a una salute migliore. Il cervello controlla ogni aspetto del nostro corpo, quindi il modo in cui pensiamo influisce su come funziona il nostro corpo. In modo simile, le persone religiose tendono ad essere colpite meno dalla depressione. Certamente, i veri cristiani pieni di fede soffrono ancora di depressione e altre forme di malattia mentale.
Ma mentre la fede non è certamente una cura per qualsiasi malattia mentale, sembra offrire un ulteriore protezione contro i suoi effetti peggiori. In particolare la vita in comunità migliora la salute emotiva.
Sono una rete vitale che sostiene la nostra salute attraverso relazioni ricche che migliorano il benessere psicologico ed emotivo.
In passato ho scritto sui benefici derivanti dall’avere amici[7]. Avere amici religiosi è ancora meglio: infatti, uno studio ha scoperto che "l'appartenenza alla Chiesa era l'unico tipo di coinvolgimento sociale che prevedeva una maggiore soddisfazione e felicità nella vita", secondo Harold Koenig[8], direttore del Center for Spirituality della Duke University.
La fede ti rende più sano fornendoti una comunità più disponibile ad aiutarti quando la vita è difficile. I cristiani hanno creato i primi ospedali al mondo e l'assistenza sanitaria professionale è stata a lungo essenziale per le missioni e il ministero per i poveri. Inoltre, secondo il sociologo Christian Smith, le persone che offrono il loro aiuto agli altri, che sia morale o materiale, hanno mediamente più di probabilità di essere molto felici della propria vita.
Enorme importanza rivestono anche le convinzioni intorno alla fede. Molte persone credono che la preghiera possa guarire le persone da ferite o malattie. Inoltre, alcuni medici, di fronte a guarigioni non spiegabili razionalmente,  ha affermato di credere nelle guarigioni miracolose.
In Brasile, più cristiani pentecostali affermano di aver sperimentato la guarigione piuttosto che aver parlato in lingue. Sia attraverso la preghiera, l'imposizione delle mani, o qualche altro intervento miracoloso, coloro che sostengono la fede possono trovare nella religione la salute per il corpo e l'anima[9].
In ambito scientifico, si afferma che le guarigioni miracolose sono in realtà un segno di un "effetto placebo" in cui la fede cristiana motiva il corpo a una guarigione più rapida, e, è vero, molti studi hanno mostrato una correlazione positiva tra prospettiva ottimistica e recupero effettivo.
Se non altro, nei casi in cui la fede non porta alla guarigione, può invece predisporre la persona ad accettare la malattia e le inevitabili conseguenze.
Nel corso del 2012 alcuni ricercatori hanno raccolto in un volume numerosi esperimenti e ricerche svolti negli anni precedenti, e volti a studiare la correlazione tra religione e benessere[10].
Il materiale raccolto dimostra chiaramente una correlazione positiva tra religione/spiritualità e salute mentale e fisica.
Il manuale elenca dettagliatamente e puntigliosamente gli effetti della religione e della spiritualità nei vari ambiti della salute che, da definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, va intesa come benessere fisico, psichico e sociale.
La pubblicazione mostra come la religione sia correlata a maggiore estroversione e apertura a nuove esperienze, cordialità, cooperazione, altruismo, compassione, propensione al perdono, locus of control interno (assumersi meriti e colpe per le proprie azioni), autostima, ottimismo, speranza, ricerca di uno scopo nella vita, impegno e desiderio di vivere, crescita post-traumatica, serenità. Inoltre, il credente presenta mediamente minore ansia, stress, depressione, rabbia, ostilità, sensazione di solitudine e propensione al suicidio.
Dal punto di vista fisico, la religione produce effetti positivi, sulla base di fattori correlati come la migliore salute mentale (meno stress e difese immunitarie più efficaci) e lo stile di vita più sano e regolato. Gli effetti positivi riguardano principalmente casi di disturbi di cuore, colesterolo, pressione sanguigna, diabete, ictus, malattie veneree, cancro, percezione del dolore e gestione della disabilità.
La religione è correlata anche ad una migliore longevità: le persone credenti, secondo gli studi, avrebbero il 37% di possibilità in più di essere ancora vive al momento di un riesame successivo (follow-up). Inoltre, la religione aumenta la complicità medica, ossia l'apertura del paziente verso il medico e la fiducia nel seguire indicazioni e cure.
Dal punto di vista sociale, le persone credenti hanno migliori risultati scolastici, maggiore stabilità lavorativa e coniugale, elemento importante per i benessere di sposi e figli, minore incidenza al crimine. Per quanto riguarda gli aspetti medici, la religione è correlata a una maggiore attenzione allo screening preventivo. Infatti, le chiese e i luoghi di culto costituiscono, spesso, importante luogo di informazione e prevenzione.
Un dato che interessa l’attività dell’Agenzia Capitolina sulle Tossicodipendenze è quello sulla relazione tra credo religioso ed uso di droghe.  Gli studi mostrano come la religione possa essere un deterrente all’uso di sostanze. La religione può avere anche un significativo ed efficace impatto in un eventuale riabilitazione e recupero della persona tossicodipendente. Su 278 studi relativi all’uso di alcol, l’86% indica una relazione inversa con la religiosità, ovvero una minore propensione all’utilizzo di alcolici, in persone che professano una fede o coltivano una propria spiritualità. Quanto all'uso di droghe, 155 studi su 185 (l’84%) hanno riscontrato un minore utilizzo di sostanze, tra le persone credenti.
In definitiva, gli studi mostrano come la religiosità delle persone sia collegata a un migliore benessere fisico, psichico e sociale. La fede religiosa produce effetti positivi sulla salute e migliora la qualità della vita, basata su comportamenti salutari e stili di vita sani.
La pratica della preghiera favorisce inoltre il raggiungimento della percezione che le cose abbiano un senso unitario. E’ il cuore spirituale dell’esperienza religiosa, il momento in cui si nella mente si apre lo spiraglio della trascendenza.
 In un articolo scientifico scritto in anni recenti dalla psicologa M.B. Toro[11] si evidenzia la minore vulnerabilità alla depressione delle persone religiose, ed il conseguente aumento di benessere psico-fisico. In definitiva, il credente è capace di sviluppare un efficace contrasto del sentimento di disperazione ed ha una buona capacità di riconoscere i momenti in cui si ha bisogno di aiuto, e quindi di riceverlo. I credenti hanno inoltre un maggiore sentimento di fiducia nel poter ricevere aiuto. La cosiddetta “inaiutabilità”, una percezione che è caratteristica di chi tende a sviluppare disturbi depressivi, viene mitigata, nei credenti, dal messaggio che si può fidarsi e che quando si è in difficoltà si può chiedere, con la preghiera, ma anche con il ricorso agli altri.
Una caratteristica notoriamente conosciuta che distingue i credenti è la loro capacità di autodisciplina. Sostenuti dalla fede, mettono grande impegno ed energia nel perseguire obiettivi, percepiti come fondamentali, o, ancora meglio, come sacri. Il che fa dei credenti persone molto determinate nella vita. Inoltre, sono costantemente accompagnati da un senso di speranza e fiducia, tipico di chi dà una prospettiva positiva e un senso alle cose. È una sorta di “nutrimento spirituale”, che, nella maggior parte dei casi, può migliorare l’affettività, innalzare l’autostima e promuovere atteggiamenti costruttivi.
Da quanto finora detto sembrerebbe che la fede abbia la capacità di attivare nell’individuo degli stati di autosuggestione che lo portano ad un miglioramento psico-fisico generale. Invece non è così: alcune ricerche, effettuate con l’ausilio di apparecchiature biomediche di risonanza cerebrale, hanno evidenziato che la fede e la preghiera comportano modalità di attivazione cerebrali molto diverse dalle attivazioni che si osservano nei fenomeni di suggestione, che passano per altre vie neurali e altri sistemi psicofisiologici. Gli effetti, che oggi si sa essere benefici, della preghiera e della meditazione vanno distinti da quelli del rilassamento, delle pratiche suggestive e ipnotiche, dell’effetto placebo. Nell’effetto placebo, infatti, i meccanismi neurofisiologici che sono attivi nei soggetti altamente suggestionabili non risultano sovrapponibili a fenomeni osservati nei credenti. I meccanismi della suggestione coinvolgono, anche qui, aree specifiche del cervello, che hanno a che fare con i cosiddetti “sistemi del reward”, quei circuiti neurali situati all'interno del circuito corteccia-gangli basali-talamo, che si attivano in base a quanto un’attività sia gratificante. In particolare, una serie di studi ha approfondito il meccanismo psicofisico indotto nel paziente in seguito alla somministrazione di sostanze che non hanno nessuna reale proprietà farmacologica, ma che in molti casi dimostrati riesce ad alleviare un dolore o addirittura a migliorare lo stato fisico. Secondo la definizione di Shapiro: «Placebo è ogni procedura deliberatamente attuata per ottenere un effetto o che, anche senza che se ne abbia nozione, svolge un’azione sul paziente o sul sintomo o sulla malattia, ma che oggettivamente è priva di ogni attività specifica nei confronti della condizione oggetto di trattamento. Tale procedura può essere attuata con o senza consapevolezza che si tratti di un placebo». Si tratta di un fenomeno che ha molto a che fare con la suggestione, ma ha caratteristiche peculiari che lo distinguono dagli altri tipi di suggestione, quali l’ipnosi e l’autoipnosi. Una ricerca condotta dai di neurologi del Department of Psychiatry and Molecular and Behavioral Neuroscience Institute dell’Università del Michigan, coordinati da Jon Kar Zubieta[12], ha individuato, in particolare, un settore del sistema limbico, il Nucleus Accumbens che viene potentemente coinvolto quando si attiva l’effetto placebo. Questo nucleo e il sistema endorfinico della dopamina intervengono, infatti, quando ci si aspetta di ricevere un aiuto e influenzano la risposta alle cure mediche.
Lo studio conclude che la pratica religiosa attiva meccanismi cerebrali differenti da quelli interessati dall'effetto placebo. Quindi, sovrapporre l’effetto placebo ai fenomeni legati alla fede, al di là della propria personale posizione sull’argomento, sarebbe, comunque, un errore scientifico abbastanza grossolano.






[1] Cfr. Belzen, 2006
[2] E. Fromm, Psicanalisi e religione, Edizioni di Comunità, 1980
[3] A. Longatti, R. Mattioli, G. Rossi, Attaccamento, fondamentalismo religioso e autoritarismo: confronto tra gruppi cristiani, in (a cura di G. Rossi, M: Aletti), Psicologia della religione e teoria dell’attaccamento, Aracne editrice S.r..l., 2009, pag. 59
[4] A. Graziottin, Spiritualità e salute: le ragioni medico-scientifiche, dalla parte del corpo, Ed. San Paolo, 2016
[5] Joanna M. Jungerman B.A., Qualitative Perspectives on Spirituality and Mental Well-Being, Emory University, 2013
[6] http://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/salute_65plus/medicina/2018/01/09/religione-aiuta-a-vivere-piu-a-lungola-scienza-lo-conferma_cb5a7fac-9d06-488a-ae39-96f255fb159f.html
[7] Cifelli S., La capacita di avere amici, ibidem, Roma luglio 2014
[8] H.G. Koenig, Handbook of religion and mental health, Academic Press, 1998
[9] M. Bontempi e A. Maturo (a cura di), Salute e e Salvezza, Francoangeli, 2010
[10] Harold Koenig, Dana King, Verna B. Carson, Handbook of Religion and Health, seconda ediz., 2012
[11] M. B. Toro, La fede e il benessere psicofisico: distinzioni dall’effetto placebo, 2012
[12] Scott et al., Neuron 55, Individual Differences in Reward Responding Explain Placebo-Induced Expectations and Effects,  pp. 325–336, 19 luglio 2007

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